Fabbrica Treviso

Blog di Stefano Dall'Agata


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Aneddoto non buonista, sul perché i social c’entrano fino ad un certo punto.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, primo piano
Iole Tassitani e Michele Fusaro


La questione di fondo, sull’uso politico della nazionalità dei criminali, è sempre di moda purtroppo


Quando fu rapita Iole Tassitani ad un certo punto delle indagini arrivò ai media la notizia che le indagini riguardavano cittadini immigrati.
In mensa durante la pausa pranzo, un razzista cominciò con la litania ad alta voce contro gli stranieri assassini.
Il giorno dopo si seppe che l’immigrato aveva solo testimoniato e indirizzato le indagini verso Michele Fusaro (veneto), il razzista in mensa era MUTO.
A quel punto io ad alta voce come lui prima dissi: “La prossima volta che ad un omicidio qualcuno si mette a buttar fuori razzismo, vado a prendere una “manera” e lo faccio a pezzi nello stesso modo in cui Fusaro ha fatto con la sua vittima.”
Il razzista continuò a restare muto.
Fine della storia.

PS è di ieri la querelle sulla falsa notizia che il vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Rega Cerciello fosse stato ucciso a coltellate da dei nordafricani, notizia condivisa da Pagine della Lega anche quando era noto ormai che i principali sospettati fossero due ricchi studenti USA, che poi hanno confessato.


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La corruzione nelle piccole cose

Nella nostra società è venuto meno il senso della comunità, dello stare assieme, della relazione di chi partecipa tra pari alla costruzione degli spazi sociali.

Mi appare evidente come l’ascesa della visione economicista, propria del pensiero liberista, che è diventato egemone nell’orientamento della comunità, stia minando alla base la coesione sociale.
Credo che vi sia un ritardo nell’analisi di detta questione, mancando di cogliere una dimensione del problema che magari viene visto nel suo aspetto psicologico, ma che nel momento in cui diventa di massa automaticamente è anche sociale; mi riferisco alla logica che vede l’interesse privato come base dell’agire umano e norma comportamentale.

Conseguenza diretta di questa che ormai è una forma mentis capillarmente diffusa, anche in ambiti che tempo fa potevano “chiamarsi fuori”, è la corruzione; e la corruzione mina l’intero sistema relazionale.

Verso i casi lampanti e spregevoli, che la cronaca ci porta a vedere, esiste un’indignazione diffusa; questa invece tende a diventare minoritaria se non marginale in quella che io chiamo la “corruzione nelle piccole cose”, e che pur sembrando talvolta insignificante è il brodo di coltura della corruzione da Codice Penale.

L’interesse privato visto come norma comportamentale porta automaticamente al “penso solo per me”, al “frego gli altri prima che possano fregarmi”, “quel che conta è vincere”, “sto col più forte, così non ho problemi”, e a tutta una serie di considerazioni simili.

I venti anni di dominio culturale berlusconiano hanno aggravato lo stato morale del Paese coinvolgendo anche settori che finora erano stati più corretti e onesti (la cooperazione ed il sindacato) che hanno finito per mostrare macchie indelebili; ma la corruzione non è solo italiana e il berlusconismo è solo uno dei modelli della corruzione, problema mondiale che, dal Vaticano alla Repubblica Popolare Cinese, è ormai vista come una delle questioni urgenti da affrontare.

Questo anche perché vi sono conseguenze dirette sulle strutture delle comunità in cui i comportamenti conseguenti a tali schemi di pensiero avvengono, ad esempio l’incapacità di critica verso i ruoli superiori, come la cecità verso le criticità interne: questa spesso unita a uno spirito di corpo che può rasentare il tifo, o “pensiero ultrà”. Si tratta di comportamenti che demotivano la partecipazione e peggio, impediscono di vedere i problemi al loro formarsi, portando ad accorgersene solo quando se ne vedono i danni.

Credo che anche per la sinistra sia giunto il momento di prendere il toro per le corna ed affrontare esplicitamente il nodo “corruzione” nominandolo e mettendolo correttamente in agenda, non si tratta di sostituire, o solo di sostituire, chi si mostra non in grado di affrontare la questione di peso, ma di mettere in opera, oltre agli ovvi strumenti di controllo sulla pratica politica e amministrativa, anche un serio processo culturale, sapendo che l’intera società è malata e che di essa si è parte.

Io sostengo che il Tradimento debba essere inserito tra le categorie della ‪#‎Politica‬. E sono oltremodo convinto che chi sostiene che non si possa guardare alla Politica usando questa categoria, per prima cosa non conosca o faccia finta di non conoscere la Storia, e per seconda, ma non ultima, sia un modo di fare che è pronto a far proprio alla bisogna.

Stefano Dall’Agata


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Malapolitica, breve riflessione a seguito degli arresti eccellenti per il #Mose

ab-grafica-tangenti-pd-pdlPurtroppo non è la degenerazione di una prassi corretta. In realtà è un sistema marcio fino al midollo, lo schema è questo: si individua una criticità, ci si mette d’accordo tra Partiti per realizzare l’opera che può risolverla, se non c’è la criticità la si inventa, a seconda dei rapporti di forza si spartisce l’appalto tra le imprese amiche in proporzione, i partiti fanno pressione sui loro amministratori affinché non rompano le scatole, se qualcuno insiste troppo si trova un motivo (altro) per farlo saltare. Ovviamente, se negli organismi dirigenti di un partito ci sono persone che sulla questione possono dar fastidio, alle riunioni dedicate ai temi in questione si fa in modo che non vengano invitate, così che non abbiano informazioni di prima mano. In questo schema se i prezzi aumentano, gli imprenditori e le loro associazioni (i massimi fustigatori mediatici della malapolitica) non fanno più di tanto rumore, anche perché se i prezzi lievitano, si aggiungono opere accessorie, compensazioni (per far tacere i comitati e qualche ambientalista rompiballe), alla fine si allarga la torta, e tutti mangiano di più. Ma dato che ci sono anche ambientalisti, politici e comitati capaci e resistenti, questo può non bastare, allora si cambia la Legge e si fa una “Legge Obiettivo”, in modo da togliere trasparenza alle decisioni, fare in modo che avvengano in luoghi della politica nascosti o praticamente inarrivabili per i cittadini, per arrivare a metterli davanti al fatto compiuto. Se una Legge obiettivo non basta, con lo stesso schema si fa un Decreto e lo si chiama “Sblocca Italia”. E la storia continua…


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Sulla parziale restituzione del maltolto da parte del Governo Italiano

 

Innanzitutto non sono mille euro all’anno, come qualche ingenuo va dicendo. Per essere precisini sono 640 €. Che vanno bene lo stesso, ma sono 80 € per otto mesi (da maggio a dicembre).

Che però se li prende dal taglio alle detrazioni per il coniuge a carico, o tagliando le pensioni di reversibilità mi girano un pochino…

Poi se spiega dove trova i soldi per pre-pensionare i dipendenti pubblici, mentre non trova quelli per i lavori usuranti e annullare la riforma Fornero, sempre che sia in grado di dare una spiegazione decente.

E non si tratta neppure di redistribuzione tra classi sociali diverse, ma di trasferimenti all’interno delle stesse. Per l’IRAP si prendono i soldini dall’aumento degli interessi sulle rendite che si conoscono e sono certi. Per gli 80 € non si sa ancora da dove vengono presi, ma siccome non siamo ingenui, capiamo benissimo che alla fine verranno dalle nostre tasche, sia pagando di più la Sanità e il Trasporto Pubblico Locale (perché le Regioni quello che gli viene tolto poi lo tolgono dal Bilancio), sia con aumento Tasse Comunali (perché i Comuni il Bilancio poi lo dovranno fare).

Redistribuzione vorrebbe dire tassare i patrimoni e dare ai poveri cristi (lavoratori, precari, pensionati, ecc.) che fin’ora sono stati gli unici a farsi carico dei costi della crisi.

N.B. Una crisi generata dal capitale finanziario, ai guasti del quale hanno dato copertura gli Stati, rivalendosi poi sui cittadini, diremmo che basta. OK?

 


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Tangenziale e Lando: i nodi vengono al pettine

Dopo anni emerge la patata bollente della media struttura commerciale del Lando sulla Statale Feltrina, sul tracciato vincolato alla realizzazione della Tangenziale di Treviso.
Un esempio di cattiva amministrazione, un sicuro danno alla comunità trevigiana, che avevo denunciato quando ero Consigliere Provinciale, anche in collaborazione con l’allora Consigliere Comunale Nicola Atalmi.

Spero che l’attuale Amministrazione della Città di Treviso possa fare piena luce sulla questione, e che se dovessero permanere zone d’ombra non vi sia alcun riguardo a portare la questione all’interesse della Corte dei Conti e della Magistratura.

Anche perché è legittimo chiedersi se un piacerone di questo genere genere sia stato fatto gratis?
Un bravo Amministratore dovrebbe aver chiesto una compensazione economica per la comunità, mi pare però che così non sia. Non vorrei che ci fosse stato qualche ritorno, non alla comunità, ma ad un soggetto terzo che credeva di rappresentarla, la Lega Nord…

http://seltv.files.wordpress.com/2010/08/tratto-tang-treviso-rid.jpg


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SERVIZIO ANTIBUFALA – Puntata 2. San Raffaele, Don Verzè e dintorni

pubblicata da LaFabbrica Di Nichi Trani il giorno Giovedì 8 novembre 2012

Con queste note vi aiuteremo ad orientarvi meglio nella disinformazione messa in giro da chi ha l’interesse a farlo, in particolare sui temi che riguardano il candidato alle Primarie Nichi Vendola.

Nella prima puntata ci siamo occupati delle bufale sugli inceneritori Marcegaglia. In questa seconda nota ci occuperemo della vicenda “Don Verzè a Taranto”.

CHI ERA DON LUIGI VERZE’

Don Luigi Maria Verzè era (ha lasciato questo mondo il 31 dicembre dello scorso anno) un imprenditore della Sanità, fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano (riconosciuto come Ospedale di eccellenza, anche nella ricerca scientifica. Nelle apposite classifiche, era assolutamente in testa) e della omonima fondazione. Non è nostra intenzione qui fare un’analisi della sua vita, nè tantomeno un giudizio della stessa, o della sua opera imprenditoriale. Con la vicenda specifica legata al progetto di costruire un Ospedale Oncologico nella città di Taranto, concordato con la Regione Puglia, simili aspetti possono contare fino a un certo punto. Ricordiamo però qual’è l’accusa che viene spesso fatta a Vendola: aver “fatto affari” con Don Verzè, “amico di Berlusconi” (in effetti ammirava sia Berlusconi che Fidel Castro. Ma Vendola non doveva certo farci un’alleanza politica), aver “cercato di far costruire l’ospedale ad un responsabile di numerosi scandali” (accusandolo, di fatto, di voler “importare” gli scandali in Puglia), di aver “preferito il privato al pubblico” (proprio lui?) e di aver “regalato milioni a Don Verzè ed al San Raffaele” (e questa sarebbe l’accusa più grave. Se dimostrata, avrebbe rilievo penale, perchè i soldi pubblici non si regalano. Ovviamente nessun Magistrato ci ha mai perso un attimo)

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SERVIZIO ANTIBUFALA – Puntata 1: Marcegaglia ed inceneritori

pubblicata da LaFabbrica Di Nichi Trani il giorno Lunedì 5 novembre 2012 alle ore 3.00 ·

Con queste note vi aiuteremo ad orientarvi meglio nella disinformazione messa in giro da chi ha l’interesse a farlo, in particolare sui temi che riguardano il candidato alle Primarie Nichi Vendola.

In questa prima puntata, parleremo degli inceneritori della Marcegaglia, che secondo qualcuno Vendola avrebbe favorito in Puglia.

E’ vero, in realtà, l’esatto contrario.

Dovete sapere, infatti, che quando un inceneritore nasce come semplice iniziativa privata, e non su “commissione” pubblica, la competenza sul concedere o meno la sua realizzazione spetta esclusivamente allo Stato, in quanto, per la legge italiana, gli inceneritori sono considerati impianti industriali. La Regione non può, quindi, impedirne la realizzazione, ma solo imporre tutti i controlli del caso, compresa la VIA.

Vendola l’ha fatto. Per questo, uno degli impianti della Marcegaglia (quello inizialmente previsto a Modugno) è anche saltato, non avendoli superati. Gli altri no, nonostante che si sia riusciti, in alcuni casi, ad ostacolarne il percorso ed a ritardarlo, con tutti i controlli prescritti.

Ma non spettava alla Regione dare l’autorizzazione finale. Per questo, e solo per questo, questi impianti si sono realizzati, NONOSTANTE il fatto che Vendola non li volesse affatto.

Per capire il suo atteggiamento riguardo alla questione-inceneritori, invece, si può guardare a cosa ha fatto laddove erano realmente sua competenza.

Raffaele Fitto, infatti, aveva lasciato in eredità un piano regionale di gestione dei rifiuti che prevedeva la costruzione di cinque inceneritori (peraltro di dimensioni ben più grandi di quelli di cui si parla qui) sul territorio Regionale.

Il più grande di questi cinque inceneritori, peraltro, era previsto proprio nella nostra città, Trani, dove a costruirlo doveva essere la società di Pino Grossi, imprenditore del nord che poi ha passato gli ultimi anni della sua vita (purtroppo non è più su questa terra) a San Vittore.

Nichi Vendola appena arrivato ha bloccato questo piano, e nel giro di un anno questi cinque inceneritori, previsti su commissione pubblica, li ha CANCELLATI. Provvedimento che ha sempre rivendicato, peraltro, come uno dei più caratterizzanti della sua esperienza da Presidente della Regione Puglia, e che, d’altra parte, gli provocò attacchi virulenti da parte dell’opposizione (che quegli inceneritori li voleva).

Si nota chiaramente, quindi, qual’è la verità. Sulla vicenda specifica degli impianti della Marcegaglia. E sull’atteggiamento complessivo di Nichi Vendola sul tema degli inceneritori.

Di certo pensare che Vendola sia favorevole agli inceneritori in generale, o sia stato favorevole a quelli della Marcegaglia in particolare, è fuori da ogni logica e verità.

Più inceneritori e più bugie. Oppure Vendola

Per approfondire:

Articolo che parla di come saltò l’inceneritore di Modugno, dopo il parere negativo sulla VIA prescritta dalla Regione Puglia

http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=472929&IDCategoria=11

Articolo su quello di Cerignola, che spiega molte cose sul reale andamento di simili vicende:http://www.linkredulo.it/giornale/opinioni/1129-impianto-rifiuti-marcegaglia-scontro-vendola-lannes.html

Vendola parla della vicenda dell’inceneritore di Trani

http://www.traninews.it/articoli/3565-nichi-vendola-e-gli-inceneritori-.asp


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GUERRA TOTALE CONTRO INGROIA (Gian Carlo Caselli).

Il nostro Paese è teatro di una guerra vera e propria. Non contro la crisi economica. O contro la disoccupazione. O contro l’evasione fiscale. O contro la corruzione. La vera guerra che si combatte è contro la Procura di Palermo. Un guerra totale, condotta con tattiche diverse, ma tutte ispirate all’obiettivo di restringerne gli spazi operativi e di circoscrivere il rischio che si scoprano verità sgradevoli. Bersaglio “privilegiato” di questa guerra è Antonio Ingroia. Già pupillo di Paolo Borsellino; da sempre costretto a vivere con i militari, i cani lupo e i sacchetti di sabbia intorno a casa sua, a causa di processi delicatissimi in cui è stato o è Pm (Contrada; Dell’Utri; “trattative ” tra Stato e mafia) Ingroia è finito proprio nel punto d’incrocio della raffica di assalti scatenata contro la Procura di Palermo e contro l’antimafia. Un luogo di intersezione che lo ha esposto moltissimo ad attacchi anche furibondi. Come l’assurda richiesta (in relazione al cosiddetto caso Ciancimino) di tirar fuori per lui l’art. 289 del codice penale – attentato a organi costituzionali – che punisce con 10 anni di galera chi cospira contro lo Stato. O come nel raggelante episodio di inciviltà che ha riguardato la sua persona in Senato, quando – mentre si citava il gravissimo fatto di un attentato distruttivo ordito contro di lui – una parte dell’aula ha fatto un coretto di irrisione alla pronunzia del suo nome. EPISODI squallidi di una guerra che denunzia l’insofferenza per il controllo di legalità realizzato con metodo e rigore. Con sullo sfondo l’ambizione mai accantonata di una riforma della giustizia che consegni alla maggioranza politica contingente (poco importa di che colore) il potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali e di regolarne l’intensità. Come in ogni guerra, ogni tanto capita di dover registrare anche del “fuoco amico”. È il caso dell’intervista che Giuseppe di Lello ha rilasciato il 18 luglio a La Stampa. Di Lello è un valoroso magistrato che dopo essere stato in trincea con Falcone e Borsellino ha scelto di darsi alla politica. Forse è questa nuova collocazione che lo ha portato (come lui stesso ammette) a manifestare sempre – dopo la tragica stagione del ‘92/93 – “una certa insofferenza nei confronti della gestione delle grandi inchieste politiche della Procura di Palermo”. Dimenticando che era stato proprio lui a stigmatizzare come “scaltri” quei magistrati che sono sempre disposti a riconoscere in teoria la pericolosità della mafia nelle sue connessioni con il potere politico ed economico per poi essere pronti – nel momento di passare all’azione – a colpire soltanto l’ala militare. Ebbene, la Procura di Palermo del “dopo stragi” ha doverosamente rifiutato ogni “scaltrezza”. Ha invece cercato di oltrepassare il cordone sanitario delle relazioni esterne, indagando anche sulle coperture e complicità che sono il vero perno della potenza mafiosa. Nel solco di quel “voltare pagina” che aveva tracciato proprio il pool di cui anche Di Lello era stato (con meriti indiscutibili) componente, indicando come non più eludibili indagini sul “retro – terra dei segreti e inquietanti collegamenti che vanno al di là della mera contiguità”. È in questo quadro che si sono svolti – tra gli altri – i processi Andreotti e Dell’Utri. Con esiti certamente positivi per l’accusa. Se è vero (come ammette persino Di Lello) che “il senatore a vita Giulio Andreotti è stato riconosciuto responsabile fino al 1980 dei suoi rapporti con la mafia”. E se è vero –com’è vero – che il senatore Dell’Utri, nella sentenza 9 marzo 2012 n. 15727 della Cassazione, è stato ritenuto responsabile – in base a prove sicure – del reato di concorso esterno con Cosa Nostra per averlo commesso, operando di fatto come mediatore di Silvio Berlusconi, almeno fino al 1978 (per i periodi successivi, fino al 1992, la Cassazione ha disposto un nuovo giudizio avanti alla Corte d’appello di Palermo). DUNQUE la Procura di Palermo ha svolto inchieste che hanno portato all’accertamento di pesanti responsabilità – per collusioni con la mafia – di personaggi che sono assolutamente centrali nella storia del nostro Paese: sul versante politico (Andreotti) e su quello dell’imprenditoria che si fa poi politica (Dell’Utri e dintorni). L’enormità di questi incontestabili dati di fatto dovrebbe sconsigliare ogni processo sommario alla stagione giudiziaria successiva alle stragi del ’92, stagione in cui la Procura di Palermo ha contribuito a salvare il Paese. Mi riesce davvero difficile, pertanto, condividere la tesi che Di Lello espone nella citata intervista, là dove sostiene che “molte scelte giudiziarie (della Procura di Palermo) si sono risolte in un boomerang”. Ma singolare è altresì la tesi secondo cui tali scelte giudiziarie “hanno poi rilegittimato i politici processati”. Singolare perché in realtà si è trattato e si tratta di una costante scandalosa autoassoluzione da parte della politica (praticamente tutta, trasversalmente) anche a fronte di responsabilità penali accertate fino a sentenza definitiva della Suprema corte. Quindi non “rilegittimazione”, ma vergognoso rifiuto di qualunque forma di responsabilità anche politico- morale. Rifiuto cui fa da corollario il mantra di certi magistrati che operano inseguendo biechi “teoremi”. Che è quello che in sostanza si va ingiustamente ripetendo (per svilirla) anche a proposito dell’inchiesta della Procura di Palermo e di Ingroia sulle “trattative”.Da Il Fatto Quotidiano del 20/07/2012.

viaGUERRA TOTALE CONTRO INGROIA (Gian Carlo Caselli)..


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Bernini, la Lega e la coerenza

Presidente Fulvio Pettenà,

leggo delle sue rimostranze per la partecipazione di alcuni leghisti ai funerali di Carlo Bernini, e le dico le motivazioni che lei adduce sono in sostanza condivisibili: fermo l’umano rispetto che si deve ad un defunto, non si può legittimare un operato politico che anch’io trovo discutibile.
Trovo però che le sue motivazioni suonino un po’ ipocrite visti i percorsi fatti dalla Lega degli esordi alla Lega attuale.
Dire “Punto: per il resto, per noi la politica è altro, noi abbiamo sempre combattuto il sistema Bernini-De Michelis” dopo che in questi anni avete imbarcato di tutto e di più, scaricando per farlo l’ala più coerente con i principi originali, è una mera dichiarazione di facciata; di seguaci del “Doge” ve n’è più d’uno nella Lega odierna, quanto a De Michelis vorrei ricordarle che il Presidente Muraro è stato iscritto al PSI (e mi dicono che era un craxiano di ferro).
Ed oltre alle persone, poi ci sono le scelte politiche: l’appoggio senza se e senza ma a Silvio Berlusconi, che dal vostro Capo veniva definito “l’uomo le cui mani grondano del sangue dei giovani padani morti per droga”, o più semplicemente “il mafioso”, senza che si sia levata una voce sulla quantità di pregiudicati che la vostra coalizione ha portato in Parlamento (maggiore della percentuale presente nei più degradati quartieri napoletani), è semplicemente lo specchio della Lega attuale, un Partito che ha tradito gli ideali che aveva un tempo per un posto alla tavola imbandita a Roma; evidentemente sono passati i tempi del “baciamo le mani” con la foto di Dell’Utri in evidenza.
Che conclusioni trarne? Che quando si sentono denunciare le malefatte dei governanti si deve prestare orecchio soprattutto alle sfumature dei toni, spesso rivelano che quella che viene spacciata per indignazione non è altro che invidia, desiderio di poter arrivare negli stessi posti di comando per fare nello stesso modo (o peggio).
Cordiali saluti,

Stefano Dall’Agata
Capogruppo Sinistra Ecologia Libertà
Provincia di Treviso

baciamo le mani

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Nel nome del “papi”

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 395 del 5 dicembre 2010

Maria G. Di Rienzo: Nel nome del “papi”

Credo si debba dar credito di almeno una cosa alla Ministra Gelmini: pur facendo malissimo il suo lavoro, in una sola frase è riuscita a fotografare il “pensiero dominante” degli ultimi trent’anni italiani. Guardando dalla finestra, per così dire, la signora è sconcertata dal vedere pensionati e studenti protestare insieme. Che hanno a che fare gli uni con gli altri?, si chiede basita, Che interessi comuni possono avere?

Nel supermercato della giungla infatti, dove la Ministra vive e dove il suo governo pascola, tutti si vendono e/o comprano altri, ed ognuno è solo sino alla disperazione, perché chiunque si trovi accanto – se non è un oggetto da usare o un potente da agganciare – è un competitore, un ostacolo, un fastidio. Gli italiani non si sono tirati indietro: sulla base degli esempi e degli impulsi forniti dagli uomini e dalle donne “di successo”, incoraggiati dalla propaganda ossessiva dei media, abbagliati dai premi forniti alla disonestà e alla cialtroneria, hanno contribuito ad alzare il livello di violenza nel paese senza pensare che sarebbe ricaduto su di loro. Hanno giustificato ogni iniquità propria e altrui esattamente sul fondamento di una solitudine egoista. Ma singolarizzati non si vive.

Se l’ambiente è un terreno di caccia e sfruttamento l’immondizia si accumula sulle tue strade, il tuo fiume straripa, le tue case crollano, le varie patologie da inquinamento fanno ammalare ed uccidono te e i tuoi figli. Se le scuole sono aziende che devono produrre profitto, e parcheggi per i ragazzi in attesa che trovino da fare gli idioti in tv, è perfettamente normale che il bullismo sia esploso come un fungo atomico. Quando le donne non possono essere viste e rappresentate se non come imprenditrici del sesso a pagamento, hostess da tavolo, cigni da cubo, vassoi viventi e “talenti futuri”, ecco cosa aumenta: violenza domestica, violenza sessuale, disturbi dell’alimentazione nelle adolescenti, molestie sul lavoro (abbiamo il record europeo in quest’ultimo settore). Ed ecco cosa accade quotidianamente: bambine di quattro anni vestite come porno star fanno balletti “sexy” nel giorno del loro compleanno o nel cortile dell’asilo, bambini delle elementari – tutti o quasi “fidanzati” con coetanee – cercano pornografia su internet, studenti delle medie molestano pesantamente le compagne in classe, quando non le stuprano nei bagni, sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti. Questi sono tutti episodi di cui io ho conoscenza diretta. Soli, ipersessualizzati, violenti e senza orizzonte: dai quattro anni in poi gli italiani e le italiane sembrano avere quest’unica prospettiva.

Di recente se n’è accorto anche il Censis (44° rapporto annuale sullo stato dell’Italia, dicembre 2010), definendo l’Italia “una società senza regole e senza sogni” attraversata dal “gusto apatico di compiere delitti comuni”. Il suo presidente De Rita ha rilasciato al proposito coltissime dichiarazioni piene di “auctoritas” e di “sregolazione pulsionale”, ma di fronte alla richiesta di rimedi si è rivelato un po’ meno profondo. Cosa possiamo fare, dunque? Preoccuparci del “padre che evapora” (santo cielo, abbassate i termostati!), quindi “ridare senso alla figura paterna” e “alla dimensione sociale del peccato”, ripartendo da un “desiderio” che nasca dalla “mancanza”. Il rapporto rileva con giusta perplessità i bambini affogati in giocattoli che neppure hanno chiesto e la mezza dozzina di cellulari a cranio italico, ma provate a portarglieli via e vedremo come il desiderio nato dalla mancanza si esprimerà: non si tratta solo di quante cose si hanno, signor presidente, ma di a che servono, di chi le usa e come le usa e per quali motivi, perché di fatto esse hanno sostituito le relazioni sociali e definiscono il posto nel mondo – il “successo”, il valore – di chi le possiede.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, contribuisce: ripartiamo dal singolo, invoca, per ritrovare “impulsi vitali” ed “energie positive”. No, grazie: al “singolo” (uno contro tutti nella competizione globale) ci siamo già. E’ la coscienza che il singolo esiste all’interno di un sistema di relazioni che manca, è la consapevolezza che ogni individuo umano è stato portato all’esistenza da una relazione che manca, e che il nostro stesso pianeta è una rete di relazioni viventi. E’ il riconoscere che viviamo grazie alla cooperazione, non grazie alla competizione, che manca. Quanto al desiderio di un “padre” che ci metta a posto fomentando in noi l’idea del peccato e strapazzandoci per farci rigare diritto lo rispedisco al mittente: ciò che i signori del Censis hanno osservato con le lacrime agli occhi è esattamente il prodotto estremo e spettacolarizzato della “legge dei padri”, il patriarcato.

Quando Mister “Ghe pensi mi” (l’attuale capo di governo) metteva in fila le cameriere nelle sue ville per dar loro lo sculaccione augurale, affinché quel giorno lavorassero bene e nessuna piega si formasse sulla tovaglia per gli ospiti, non stava facendo altro che il suo lavoro da padre-padrone e quasi nessuno – oltre a me – lo ha trovato ignobile; quando assieme ai suoi lacchè ha sponsorizzato la pagliacciata del “Family Day”, delegittimando ed insultando la mia, di famiglia, perché “sregolata” e “non tradizionale” (come non è “tradizionale” la maggioranza delle famiglie italiane), il padre-padrone si sentiva perfettamente in regola circondato da prelati, beghine, le sue due famiglie ed il corteggio di amanti a pagamento: è “tradizione”, infatti, che il patriarca possa concedersi ciò che ai comuni mortali è negato; quando le suddette dame di compagnia sessuale gli chiedevano favori (risolvimi l’abuso edilizio, prestami l’avvocato da talk show per i miei problemi legali, trovami un posto in tv o da parlamentare: e quelle che hanno sollevato i veli dell’ipocrisia lo hanno fatto solo perché non hanno ottenuto ciò che volevano) stavano ridando pieno “senso alla figura paterna”, quella del “tradizionale” padre onnipotente che dà e toglie a suo capriccio, che ha piena potestà sulla figliolanza reale e simbolica, e che è autorizzato ad usarla per il proprio godimento: fra i figli, quindi, deve scatenarsi la lotta più implacabile per ottenere i favori del padre, eliminare gli avversari, e infine prenderne il posto.

In questo quadro, lo stupore ministeriale che citavo all’inizio (“Che interessi comuni possono avere pensionati e studenti?”) è perfettamente logico: ognun per sé e dio per chi può pagarlo con le regalie alle scuole private, mentre quella pubblica affonda. So che la Ministra non leggerà mai la spiegazione che sto per fornirle, e che quand’anche ciò accadesse probabilmente non riuscirebbe (ancora) a capirla, tuttavia eccola qua: pensionati e studenti, lavoratori e attivisti sociali, stanno cominciando a ricordare di essere umani, e che sono umani solo grazie al fatto che altri esseri umani li hanno messi al mondo, hanno avuto cura di loro, si preoccupano per loro, li amano. Se al Censis non hanno le fette di “papi” sugli occhi dovrebbero accorgersi che tutto questo ricorda molto di più l’agire di una madre (o di un padre nient’affatto “tradizionale”). Una madre che non ti indica l’inferno più o meno trascendente – il “senso sociale del peccato” – ma un quotidiano esistere fatto di buone relazioni, di negoziazioni, di condivisione di abilità e risorse, di responsabilità e rispetto, come sistema per vivere meglio, insieme, tutte e tutti. Se vogliono prove di quanto dico, è probabile che non debbano guardare più lontano di casa propria. Maria G. Di Rienzo