Fabbrica Treviso

Blog di Stefano Dall'Agata


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8 marzo 2023

di Maria G. Di Rienzo

Giorno internazionale della donatrice di ovociti. Non viene bene, “donatrice” è sostantivo femminile.
Giorno internazionale della persona con utero / con ovaie. Eh no, discrimina chi è senza utero o ovaie.
Giorno internazionale dell’individuo mammifero di tipo B (il tipo A è ovviamente un uomo). Uhm, no, è binario.
Giorno internazionale del qualcosa “tratto da una costola”. Bocciato, sembra di essere in macelleria o al ristorante.
Ehilà, salve, volevo parlarvi dell’8 marzo:

  • bisognerebbe abolirlo;
  • non si capisce che cazzo ci sia da festeggiare;
  • è una noia;
  • le mimose puzzano;
  • è un abuso nei confronti degli uomini;
  • gli uomini non hanno un giorno internazionale, vergogna! (1);
  • è roba cis terf binary nazifem… eccetera.
    Chi sono io? Sono un* “they” (“essi”, ahinoi, è maschile plurale), ho una gentleman pussy (che è l’equivalente del lady penis) e la mia fluidità non sopporta etichette… però si può dire che quando mi sveglio la mattina sentendomi – e quindi essendo a pieno diritto – un uomo mi piacciono gli uomini. La tragedia è che i gay sono escludenti e mi respingono.
    I club per soli uomini non mi fanno entrare. Mi piscio sulle scarpe usando gli orinatoi nei bagni che hanno l’ometto sulla porta. Posizionateli più in basso, ‘sti cessi, basta discriminazioni!
    Che c’entra con l’8 marzo? Niente. Solo mi irrita che si parli di persone usando il termine “donne” e che ci sia una cazzo di ricorrenza a loro nome ogni 365 giorni (non è un po’ troppo?). In questo singolo giorno, tra l’altro, l’attenzione nei miei confronti sembra diminuire.
    Momento! L’8 marzo potrei svegliarmi la mattina sentendomi… dio, com’è difficile, orribile, disgustoso… donna. Dopotutto i fobici che non mi accettano non sono in grado di distinguere una gentleman pussy da una pussy cis terf binary nazifem. Sì, lo so, sono un genio!
    §§§
    Il Giorno Internazionale della Donna fu istituito dalle Nazioni Unite nel 1975, come data in cui misurare e celebrare globalmente i traguardi raggiunti dalle donne in campo sociale, economico, culturale e politico.
    L’idea era stata suggerita nel 1910, durante la Conferenza Internazionale delle Lavoratrici a Copenaghen, da Clara Zetkin (comunista e attivista per i diritti delle donne). Le 100 delegate, provenienti da 17 diversi Paesi, votarono a favore all’unanimità.
    Nel 2022 l’Italia si è collocata al 63° posto sui 146 Paesi presi in esame dal World Economic Forum per stilare il “Global Gender Gap Index”: questo lavoro misura annualmente la diseguaglianza di genere che vede le donne svantaggiate in termini di partecipazione economica e politica, salute e livello di istruzione. L’Italia conserva la stessa posizione del 2021, dopo Uganda (61° posto) e Zambia (62°). A livello di Europa, l’Italia è 25esima su 35 Paesi.
    L’8 marzo servirebbe, in teoria, a chiedersi perché.
    Sugli autoginefili (2) tristi piangiamo il resto dell’anno, ok?
    Maria G. Di Rienzo

(1) Invece c’è. E’ il 19 novembre, non stabilito dalle NU ma celebrato ufficialmente in circa 80 nazioni.
(2) Niente contro costoro: se si eccitano e si appagano pensando di essere donne non è affar mio. Se pensano che essere donne consista semplicemente di un assemblaggio di parrucche, cosmetici, borsette e tacchi mi permetto di dissentire. Quando si spacciano per “trans” o addirittura “lesbiche” non posso accettare le loro menzogne.

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Stupratori: 100% maschi?

Due giorni fa, a seguito della querelle seguita agli stupri di gruppo a Rimini, in cui il dibattito esprimeva affermazioni direttamente conseguenti alla quantità di razzismo o anti razzismo presente tra i vari interlocutori, ho deciso di fare un Tweet con una considerazione che ho in mente da tempo.
Si tratta di una presa d’atto della realtà che vede nei fatti di cronaca, come nelle totalità delle denunce raccolte dalle Forze dell’Ordine, il 100% degli stupratori composto da maschi.

Il Tweet era questo:

Scoperta la categoria di esseri umani responsabile del 100% dei casi di #stupro. Si tratta di maschi.

Schermata del 2017-09-03 10-27-13

Il motivo del post è lo stesso che mi ha spinto anni fa a sottoscrivere l’Appello di Maschile/Plurale “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo parola come uomini” , che si concludeva con questa richiesta:
“Chiediamo che si apra finalmente una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione, nel mondo del lavoro. Una riflessione comune capace di determinare una sempre più riconoscibile svolta nei comportamenti concreti di ciascuno di noi.”

Immaginavo, data la cultura maschilista molto più presente tra i razzisti, che tendenzialmente sono anche più omofobi, che il Tweet potesse infastidire soprattutto quell’area; anche perché come è stato fatto rilevare pure da altri, la sottolineatura dell’etnia degli stupratori, oltre a dar sfogo al proprio razzismo, è evidentemente finalizzata anche a nascondere il sistema patriarcale di subordinazione delle donne da parte degli uomini, di cui la cultura dello stupro è parte integrante
Con mio stupore, oltre alle ovvie critiche sui social da parte degli MRA (Men Rights Association), mi sono arrivate critiche da persone dell’area di sinistra, e soprattutto da alcune donne che si dicono femministe.

Se le critiche degli MRA erano appunto nel conto e da non prendere assolutamente in considerazione, vista la loro storia di produzione di dati e studi fasulli finalizzati a negare la violenza maschilista, oltre a voler sostenere la tesi che vi sia una violenza delle donne contro gli uomini che è pari, se non superiore all’altra; quelle da parte di alcune donne mi sono sembrate veramente fuori dal mondo.

Le contestazioni vertevano soprattutto sul non è il 100%, e che ci sono anche uomini stuprati da donne.
A nulla valeva che sottolineassi il fatto che si parla di ciò che accade e non di quello che potrebbe forse accadere, e che ovviamente in un Tweet non si va a presentare un’elaborazione critica, ma si cerca di condensare un significato in una battuta, per cui, ammesso e non concesso, che vi fossero i casi di stupro da parte di donne, questi sarebbero l’eccezione che conferma la regola.

Vi sono stati poi dei veri e propri travisamenti, e questi credo anche in buona fede, ma chiaro esempio del 47% di analfabeti funzionali che esiste in Italia. Da una frase che dice che il 100% degli stupratori sono maschi, capire che il 100% dei maschi sono stupratori dà il segno di forti problemi di comprensione di un testo per la persona che commette questo errore.

Sono ovviamente consapevole che vi siano atti di violenza, fino anche all’omicidio, come anche che vi siano molestie sessuali da parte di donne nei confronti di uomini.

Mi sono chiesto però il motivo che portava queste persone a negare l’evidenza, ed una prima risposta l’ho trovata nel non volere essere assimilate alle “femministe che odiano gli uomini”. Si tratta però di un motivo che ha senso soprattutto nei rapporti con le proprie reti locali di amici, parenti e colleghi, nel non dover sopportare nella vita di tutti i giorni i dileggio che agisce contro le donne che pretendono dignità (tendenzialmente agito per “rimetterle al loro posto”).
Questa motivazione però non regge per i commenti sulle pagine dei social, che avvengono per lo più in mezzo a persone semisconosciute, e con cui non si condivide nulla.
Ragionandone con altre persone è emersa una ragione diversa, quella per la quale una posizione netta mette in dubbio i comportamenti che non lo sono altrettanto, per cui dette persone si sentono attaccate in quella che riconoscono come una propria mancanza di coerenza. Si sentono quindi di dover difendere la propria pusillanimità attaccando chi dice ciò che loro non hanno il coraggio di affermare.

Riprendendo i concetti dell’Appello citato credo che siano doverose prese di posizione chiare, con la consapevolezza che le ambiguità spesso nascondono “un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all’esistenza di questo tipo di violenza”, e ribadisco che proprio per questo non posso esimermi dal portare testimonianza, egoisticamente per non sentirmi (e non essere) in colpa di questo sistema.


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Consenso non è ‘carezze’, dissenso non è ‘manganellate’

Riposto qui l’articolo di Massimo Lizzi che risponde puntualmente alle accuse che Loredana Lipperini rivolge e me e lui. (Stefano Dall’Agata)

http://www.massimolizzi.it/2013/11/consenso-carezze-dissenso-manganellate.html

Anche questa volta – come le precedenti [1][2] – Loredana Lipperini ha reagito alle critiche con affermazioni ingiuriose e diffamatorie. I contenuti del mio ultimo post sono stati da lei definiti come manganellate, randellate, bastonate. Un cercare nemici da impallinare. Spaventoso, deumanizzante. Direttamente sul suo blog. Più allusioni varie, sparse per il web.

Nessun rispetto, nè per me, nè per il senso delle proporzioni. Eppure ho solo preso le sue parole, per metterle a confronto con quelle di altri. Se ci fa una bella o una brutta figura non è responsabilità mia. Non ho usato nei suoi confronti neanche un aggettivo negativo. Solo le parole che ha scelto di scrivere lei. Riassunte letteralmente, linkate ai suoi post, riprodotte in immagine. Integralmente. Se quando le tornano indietro le fanno male, non sono io che uso il manganello, è lei che lancia boomerang.

Non rimprovero la decisione di bloccare il mio account su Facebook e di fare lo stesso nei confronti di altre persone a me associabili anche solo per aver concesso un like, al fine di rendere inaccessibile la sua bacheca. E’ suo diritto. Sono affari suoi, se preferisce ospitare i commenti dei mascolinisti ed escludere i miei. Non è suo diritto invece scrivere cose così:

Per di più, senza dare alcun riferimento testuale. I lettori del suo blog, che immagino siano molte centinaia dato che è uno dei primi blog italiani, non possono verificare se quanto mi viene attribuito è vero, possono solo fidarsi degli insulti che mi vengono rivolti. Perchè le accuse, senza indizi, senza prove, sono solo insulti.

Essere una conduttrice radiofonica, una giornalista di Repubblica, una scrittrice di libri pubblicati da una delle più importanti case editrici italiane, la Feltrinelli, essere una delle prime blogger italiane, significa esercitare un potere d’influenza nei confronti dell’opinione pubblica. Un potere che può essere esercitato in modo autorevole, argomentando e confutando, cercando di spiegare e persuadere. Oppure in modo autoritario, delegittimando, denigrando, insultando. E’ paradossale, ma frequente, che l’uso del modo autoritario si accompagni alla recitazione del ruolo di vittima eretica perseguitata e oppressa dal potere ortodosso, secondo la scuola dell’amica di Abbattoimuri.

Io non ho nessun potere, salvo quello di qualsiasi utente navigante capace di aprirsi un blog e una pagina su Facebook. Non ho mai insultato Loredana Lipperini. Non l’ho mai qualificata in modo negativo. Non ho mai detto che non la riconosco come femminista. Più volte l’ho citata e linkata in modo favorevole. Era consenso, non baci e carezze. Consenso. Di recente, invece le ho espresso dissenso, non manganellate e bastonate. Dissenso.

Non ho colto alcun pretesto. Da un mese stiamo scrivendo a sostegno della legge francese che sanziona i clienti della prostituzione per combattere la tratta, cercando di confutare, gli argomenti contrari usati dai salauds e dagli intellettuali che li appoggiano. In Francia e in Italia. Pubblichiamo dati, informazioni, testimonianze, analisi. Non insultiamo nessuno. Loredana Lipperini è intervenuta sul suo blog con un breve post. Per esprimere contrarietà alla legge, a mio giudizio in modo superficiale. E per liquidare le posizioni favorevoli come semplicemente ostili alla persona di Elisabeth Badinter. Quindi, ho mostrato quel che ha scritto lei e quel che abbiamo scritto noi. Per mostrare che di Elisabeth Badinter disapproviamo i contenuti, non la persona. Anche se tra la persona e i contenuti, talvolta, c’è conflitto d’interesse.

Se avessi voluto cogliere pretesti, avrei potuto più agevolmente approfittare di altre occasioni. Per esempio, quella che vede Loredana Lipperini impegnata inutilmente in difesa di Costanza Miriano, contestata dalle donne spagnole, per il suo libro «Sposati e sii sottomessa». Autrice già tutelata in modo egregio da Camillo Langone, che oggi paventa il ritorno del rogo dei libri in Europa, mentre solo ieri voleva togliere i libri alle donne affinché tornassero a fare figli.

 

Una difesa superflua, buona per esibire un po’ di tolleranza volterriana. Non condivido quello che dice, ma ha il diritto di dirlo, etc… discutiamone democraticamente… La sottomissione delle donne, una opinione discordante su cui ragionare, finchè qualcuno non pubblicherà l’elogio dello schiavismo o dell’antisemitismo, così giusto per cambiare tavola rotonda.

Sono un dilettante e non ho in progetto di diventare un collega professionista di Loredana Lipperini come invece lo è Costanza Miriano. Spero ugualmente lei voglia un giorno riconoscere lo stesso diritto e dedicare la stessa tolleranza anche a me. Altrimenti, pazienza, ne farò a meno.

 

nov 28 2013
Anche questa volta – come le precedenti [1][2] – Loredana Lipperini ha reagito alle critiche con affermazioni ingiuriose e diffamatorie. I contenuti del mio ultimo post sono stati da lei definiti come manganellate, randellate, bastonate. Un cercare nemici da impallinare. Spaventoso, deumanizzante. Direttamente sul suo blog. Più allusioni varie, sparse per il web.
Nessun rispetto, nè per me, nè per il senso delle proporzioni. Eppure ho solo preso le sue parole, per metterle a confronto con quelle di altri. Se ci fa una bella o una brutta figura non è responsabilità mia. Non ho usato nei suoi confronti neanche un aggettivo negativo. Solo le parole che ha scelto di scrivere lei. Riassunte letteralmente, linkate ai suoi post, riprodotte in immagine. Integralmente. Se quando le tornano indietro le fanno male, non sono io che uso il manganello, è lei che lancia boomerang.
Non rimprovero la decisione di bloccare il mio account su Facebook e di fare lo stesso nei confronti di altre persone a me associabili anche solo per aver concesso un like, al fine di rendere inaccessibile la sua bacheca. E’ suo diritto. Sono affari suoi, se preferisce ospitare i commenti dei mascolinisti ed escludere i miei. Non è suo diritto invece scrivere cose così:
Per di più, senza dare alcun riferimento testuale. I lettori del suo blog, che immagino siano molte centinaia dato che è uno dei primi blog italiani, non possono verificare se quanto mi viene attribuito è vero, possono solo fidarsi degli insulti che mi vengono rivolti. Perchè le accuse, senza indizi, senza prove, sono solo insulti.
Essere una conduttrice radiofonica, una giornalista di Repubblica, una scrittrice di libri pubblicati da una delle più importanti case editrici italiane, la Feltrinelli, essere una delle prime blogger italiane, significa esercitare un potere d’influenza nei confronti dell’opinione pubblica. Un potere che può essere esercitato in modo autorevole, argomentando e confutando, cercando di spiegare e persuadere. Oppure in modo autoritario, delegittimando, denigrando, insultando. E’ paradossale, ma frequente, che l’uso del modo autoritario si accompagni alla recitazione del ruolo di vittima eretica perseguitata e oppressa dal potere ortodosso, secondo la scuola dell’amica di Abbattoimuri.
Io non ho nessun potere, salvo quello di qualsiasi utente navigante capace di aprirsi un blog e una pagina su Facebook. Non ho mai insultato Loredana Lipperini. Non l’ho mai qualificata in modo negativo. Non ho mai detto che non la riconosco come femminista. Più volte l’ho citata e linkata in modo favorevole. Era consenso, non baci e carezze. Consenso. Di recente, invece le ho espresso dissenso, non manganellate e bastonate. Dissenso.
Non ho colto alcun pretesto. Da un mese stiamo scrivendo a sostegno della legge francese che sanziona i clienti della prostituzione per combattere la tratta, cercando di confutare, gli argomenti contrari usati dai salauds e dagli intellettuali che li appoggiano. In Francia e in Italia. Pubblichiamo dati, informazioni, testimonianze, analisi. Non insultiamo nessuno. Loredana Lipperini è intervenuta sul suo blog con un breve post. Per esprimere contrarietà alla legge, a mio giudizio in modo superficiale. E per liquidare le posizioni favorevoli come semplicemente ostili alla persona di Elisabeth Badinter. Quindi, ho mostrato quel che ha scritto lei e quel che abbiamo scritto noi. Per mostrare che di Elisabeth Badinter disapproviamo i contenuti, non la persona. Anche se tra la persona e i contenuti, talvolta, c’è conflitto d’interesse.
Se avessi voluto cogliere pretesti, avrei potuto più agevolmente approfittare di altre occasioni. Per esempio, quella che vede Loredana Lipperini impegnata inutilmente in difesa di Costanza Miriano, contestata dalle donne spagnole, per il suo libro «Sposati e sii sottomessa». Autrice già tutelata in modo egregio da Camillo Langone, che oggi paventa il ritorno del rogo dei libri in Europa, mentre solo ieri voleva togliere i libri alle donne affinché tornassero a fare figli.

Una difesa superflua, buona per esibire un po’ di tolleranza volterriana. Non condivido quello che dice, ma ha il diritto di dirlo, etc… discutiamone democraticamente… La sottomissione delle donne, una opinione discordante su cui ragionare, finchè qualcuno non pubblicherà l’elogio dello schiavismo o dell’antisemitismo, così giusto per cambiare tavola rotonda.

Sono un dilettante e non ho in progetto di diventare un collega professionista di Loredana Lipperini come invece lo è Costanza Miriano. Spero ugualmente lei voglia un giorno riconoscere lo stesso diritto e dedicare la stessa tolleranza anche a me. Altrimenti, pazienza, ne farò a meno.

– See more at: http://www.massimolizzi.it/2013/11/consenso-carezze-dissenso-manganellate.html#sthash.ecWXd8sY.dpuf

nov 28 2013
Anche questa volta – come le precedenti [1][2] – Loredana Lipperini ha reagito alle critiche con affermazioni ingiuriose e diffamatorie. I contenuti del mio ultimo post sono stati da lei definiti come manganellate, randellate, bastonate. Un cercare nemici da impallinare. Spaventoso, deumanizzante. Direttamente sul suo blog. Più allusioni varie, sparse per il web.
Nessun rispetto, nè per me, nè per il senso delle proporzioni. Eppure ho solo preso le sue parole, per metterle a confronto con quelle di altri. Se ci fa una bella o una brutta figura non è responsabilità mia. Non ho usato nei suoi confronti neanche un aggettivo negativo. Solo le parole che ha scelto di scrivere lei. Riassunte letteralmente, linkate ai suoi post, riprodotte in immagine. Integralmente. Se quando le tornano indietro le fanno male, non sono io che uso il manganello, è lei che lancia boomerang.
Non rimprovero la decisione di bloccare il mio account su Facebook e di fare lo stesso nei confronti di altre persone a me associabili anche solo per aver concesso un like, al fine di rendere inaccessibile la sua bacheca. E’ suo diritto. Sono affari suoi, se preferisce ospitare i commenti dei mascolinisti ed escludere i miei. Non è suo diritto invece scrivere cose così:
Per di più, senza dare alcun riferimento testuale. I lettori del suo blog, che immagino siano molte centinaia dato che è uno dei primi blog italiani, non possono verificare se quanto mi viene attribuito è vero, possono solo fidarsi degli insulti che mi vengono rivolti. Perchè le accuse, senza indizi, senza prove, sono solo insulti.
Essere una conduttrice radiofonica, una giornalista di Repubblica, una scrittrice di libri pubblicati da una delle più importanti case editrici italiane, la Feltrinelli, essere una delle prime blogger italiane, significa esercitare un potere d’influenza nei confronti dell’opinione pubblica. Un potere che può essere esercitato in modo autorevole, argomentando e confutando, cercando di spiegare e persuadere. Oppure in modo autoritario, delegittimando, denigrando, insultando. E’ paradossale, ma frequente, che l’uso del modo autoritario si accompagni alla recitazione del ruolo di vittima eretica perseguitata e oppressa dal potere ortodosso, secondo la scuola dell’amica di Abbattoimuri.
Io non ho nessun potere, salvo quello di qualsiasi utente navigante capace di aprirsi un blog e una pagina su Facebook. Non ho mai insultato Loredana Lipperini. Non l’ho mai qualificata in modo negativo. Non ho mai detto che non la riconosco come femminista. Più volte l’ho citata e linkata in modo favorevole. Era consenso, non baci e carezze. Consenso. Di recente, invece le ho espresso dissenso, non manganellate e bastonate. Dissenso.
Non ho colto alcun pretesto. Da un mese stiamo scrivendo a sostegno della legge francese che sanziona i clienti della prostituzione per combattere la tratta, cercando di confutare, gli argomenti contrari usati dai salauds e dagli intellettuali che li appoggiano. In Francia e in Italia. Pubblichiamo dati, informazioni, testimonianze, analisi. Non insultiamo nessuno. Loredana Lipperini è intervenuta sul suo blog con un breve post. Per esprimere contrarietà alla legge, a mio giudizio in modo superficiale. E per liquidare le posizioni favorevoli come semplicemente ostili alla persona di Elisabeth Badinter. Quindi, ho mostrato quel che ha scritto lei e quel che abbiamo scritto noi. Per mostrare che di Elisabeth Badinter disapproviamo i contenuti, non la persona. Anche se tra la persona e i contenuti, talvolta, c’è conflitto d’interesse.
Se avessi voluto cogliere pretesti, avrei potuto più agevolmente approfittare di altre occasioni. Per esempio, quella che vede Loredana Lipperini impegnata inutilmente in difesa di Costanza Miriano, contestata dalle donne spagnole, per il suo libro «Sposati e sii sottomessa». Autrice già tutelata in modo egregio da Camillo Langone, che oggi paventa il ritorno del rogo dei libri in Europa, mentre solo ieri voleva togliere i libri alle donne affinché tornassero a fare figli.

Una difesa superflua, buona per esibire un po’ di tolleranza volterriana. Non condivido quello che dice, ma ha il diritto di dirlo, etc… discutiamone democraticamente… La sottomissione delle donne, una opinione discordante su cui ragionare, finchè qualcuno non pubblicherà l’elogio dello schiavismo o dell’antisemitismo, così giusto per cambiare tavola rotonda.

Sono un dilettante e non ho in progetto di diventare un collega professionista di Loredana Lipperini come invece lo è Costanza Miriano. Spero ugualmente lei voglia un giorno riconoscere lo stesso diritto e dedicare la stessa tolleranza anche a me. Altrimenti, pazienza, ne farò a meno.

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stop femminicidio: #iocimettolafaccia

Ho deciso di mettercela anch’io la faccia su un tema che da sempre mi impegna come uomo.

dallagata.jpg

Riporto ad un’iniziativa che avevo supportato, all’epoca ero Presidente della Zona Soci Veneto 3 di Coop Adriatica:

Donne di Sabbia

Il volantino dell’iniziativa “Donne di Sabbia” realizzata dal Circolo di Treviso di Amnesty International in collaborazione con la CGIL e Coop Adriatica.

Informazioni sulla campagna

Campagna di sensibilizzazione sul tema del FEMMINICIDIO promossa dalla Rete degli Studenti Medi del Veneto, Studenti Per UDU Padova, UDU Venezia e UDU Verona: posta una tua foto accompagnata dallo slogan “stop femminicidio: #iocimettolafaccia” e diffondi, manteniamo alta l’attenzione.

Il termine femminicidio non nasce per caso, né perché mediaticamente d’impatto nè tantomeno per ansia di precisione.
Oggi sembra quasi una banalità ripetere i dati dell’OMS: la prima causa di uccisione nel Mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio (da parte di persone conosciute). Negli anni Novanta il dato non era noto, e quando alcune criminologhe femministe verificarono questa triste realtà, decisero di “nominarla”. Fu una scelta politica: la categoria criminologica del femmicidio introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e consentiva di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare l’efficacia delle risposte punitive.
Dietro questa parola c’è una storia lunga più di venti anni, una storia in cui le protagoniste sono le donne.

Il termine “femicide” (in italiano “femmicidio” o “femicidio”) nacque per indicare gli omicidi della donna “in quanto donna”, ovvero gli omicidi basati sul genere, ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine. Non stiamo parlando soltanto degli omicidi di donne commessi da parte di partner o ex partner, stiamo parlando anche delle ragazze uccise dai padri perché rifiutano il matrimonio che viene loro imposto o il controllo ossessivo sulle loro vite, sulle loro scelte sessuali, e stiamo parlando pure delle donne uccise dall’AIDS, contratto dai partner sieropositivi che per anni hanno intrattenuto con loro rapporti non protetti tacendo la propria sieropositività, delle prostitute contagiate di AIDS o ammazzate dai clienti, delle giovani uccise perché lesbiche.

Anche l’Unione Europea ha riconosciuto che il femminicidio riguarda tutti gli Stati del mondo, non solo quelli latinoamericani. L’attuale situazione politica ed economica dell’Italia non puo’ essere utilizzata come giustificazione per la diminuzione di attenzione e risorse dedicate alla lotta contro tutte le manifestazioni della violenza su donne e bambine in questo Paese.

Un triste primato che porta le Nazioni Unite a parlare di femminicidio per l’Italia: rimane costante è la violenza in generale esercitata dagli uomini sulle donne.
Secondo l’Istat infatti una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni è stata colpita, nell’arco della propria vita, dall’aggressività di un uomo, e nel 63% dei casi alla violenza hanno assistito i figli. Le donne più colpite sono quelle comprese nella fascia 16-24 anni.

Le vittime sono considerate oggetti di proprietà e nel momento in cui cercano di spezzare questo legame, scatta la furia.
Intanto nel nostro Paese sono cento le donne vittime di femminicidio nel 2012, e chissà quante di cui non conosciamo i nomi.

Per quanto ancora l’Italia permetterà tutto questo?
Chiediamo e vogliamo vivere in una società che tuteli i diritti di tutti e non permetta più di lesionare la dignità altrui.
Come Rete degli Studenti Medi ribadiamo ancora una volta il nostro appoggio alle donne di “Se non ora Quando?” che dal 13 febbraio 2011 non hanno ancora smesso di lottare.


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“CARTA EUROPEA PER L’UGUAGLIANZA E LA PARITÀ TRA DONNE E UOMINI NELLA VITA LOCALE”

Interpellanza al Consiglio Provinciale di Treviso

Per chiedere che gli impegni formalmente presi dal Consiglio Provinciale  non restino lettera morta abbiamo presentato un’interpellanza sull’adesione alla “CARTA EUROPEA PER L’UGUAGLIANZA E LA PARITÀ TRA DONNE E UOMINI NELLA VITA LOCALE”


Treviso, 8 novembre 2010

Al Signor Presidente del Consiglio Provinciale di Treviso

Al Signor Presidente della Provincia di Treviso

Interpellanza: “CARTA EUROPEA PER L’UGUAGLIANZA E LA PARITÀ TRA DONNE E UOMINI NELLA VITA LOCALE”

Premesso che:

  • il Consiglio Provinciale di Treviso, in data 28 novembre 2008, ha dato la propria adesione alla “Carta europea per l’uguaglianza e la parità tra donne e uomini nella vita locale” redatta dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, che rappresenta gli enti locali e regionali;
  • in un lasso di tempo ragionevole (che non può superare i due anni) a seguire dalla data della firma, il firmatario della Carta si impegna ad elaborare ed adottare il proprio Piano d’azione per la parità e, in seguito, ad attuarlo.

Considerato che:

  • sono quasi trascorsi i due anni dal giorno dell’adesione formale del Consiglio Provinciale;
  • il firmatario riconosce il principio della rappresentanza equilibrata di donne e uomini in tutte le istituzioni elette che assumano decisioni pubbliche;
  • il firmatario s’impegna a promuovere e a mettere in pratica il principio della rappresentanza equilibrata nei propri organismi decisionali o consultivi e nelle nomine da operare in qualsiasi organo esterno;
  • il firmatario si impegna ad aiutare i collaboratori e le collaboratrici, attraverso la formazione o con altri mezzi, ad identificare e ad eliminare le attitudini e i comportamenti stereotipati, adottando codici di comportamento al riguardo.

Si chiede:

  • se questa Amministrazione abbia avviato le procedure per l’elaborazione del Piano d’azione, e in caso affermativo a quale stadio siano giunte dette procedure;
  • se sia stato avviato un confronto con le rappresentanze delle lavoratrici e dei lavoratori dell’Ente per valutare i criteri per gli avanzamenti di carriera che siano coerenti con i principi della Carta;
  • se vi sia la volontà di approvare il Piano entro la fine del mandato di questa Amministrazione;
  • se vi sia la volontà di procedere all’aggiornamento dello Statuto dell’Ente al fine di fissare un criterio quantitativo nella ripartizione degli Assessorati in modo da garantire un’equilibrata presenza fra i sessi.

I Consiglieri:

Stefano Dall’Agata

Luca De Marco Continua a leggere


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Campagna dei 16 giorni

dal blog lunanuvola

16 GIORNI DI ATTIVISMO CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

25 Novembre – 10 Dicembre 2010

La Campagna dei 16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere è una campagna internazionale attiva dal 1991. Le due date, 25 novembre (Giornata internazionale contro la violenza sulle donne) e 10 dicembre (Giornata internazionale dei diritti umani) sono legate per sottolineare che la violenza di genere è una violazione dei diritti umani.

Di seguito, parte del testo che ha lanciato la Campagna per il 2010.

Quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della Campagna “16 Giorni di Attivismo Contro la Violenza di Genere.” Anno dopo anno, nuovi soggetti si sono aggiunti alla “Campagna 16 Giorni” per portare il loro contributo alla conoscenza delle differenti forme di violenza commesse contro le donne, a livello locale, nazionale e mondiale. L’attenzione che la violenza di genere ha ricevuto è una testimonianza delle forti energie e delle efficaci mobilitazioni realizzate dalle attiviste e dagli attivisti per la protezione dei diritti delle donne nel mondo. Eppure, malgrado questa maggiore presa di coscienza, il numero delle violenze e degli abusi contro le donne è allarmante ed emergono, anzi, nuove forme di violenza. Noi, in quanto diffensore/i dei diritti umani delle donne, abbiamo la responsabilità di osservare più da vicino le strutture che permettono alla violenza di genere di esistere e persistere. Dopo diverse consultazioni con attiviste/i, organizzazioni ed esperte/i di tutto il mondo, il militarismo è apparso come la struttura chiave di perpetuazione della violenza.

Benché esistano diversi modi per definire il militarismo, la nostra definizione di base descrive il militarismo come un’ideologia che crea una cultura di paura e giustifica e favorisce la violenza, le aggressioni o gli interventi militari per risolvere conflitti ed imporre interessi economici e politici.

È un’ideologia che molto spesso ha conseguenze gravissime per la sicurezza delle donne e della società in generale. Il militarismo è un approccio caratteristico che influenza la maniera di osservare il mondo; cambia la percezione del prossimo, della famiglia e dell’intera vita pubblica.

Abbracciare il militarismo è dare per scontato che ognuno ha nemici e che la violenza è un mezzo efficace per risolvere i problemi. Non opporsi a questo modo di pensare miltarista implica il perpetuare certe forme di mascolinità, il lasciare che le gerarchie di potere restino al proprio posto, ed accordare l’impunità agli autori delle violenze contro le donne in tempi di guerra. Ridurre il militarismo significa ispirare idee più ampie su una sicurezza vera, significa accrescere la partecipazione delle donne alla sfera pubblica, e creare un mondo costruito su rapporti autentici di fiducia e cooperazione, e non sulla vendita competitiva delle armi.

C’è un bisogno urgente di affrontare la questione militarista in tutta la nostra società. Il militarismo non solo ha conseguenze materiali ed istituzionali, ma anche culturali e psicologiche, più difficili da misurare. Guerre, conflitti interni, e repressioni violente di movimenti di giustizia sociale e politica – che risultano tutti dalla cultura del militarismo – hanno un impatto particolare e spesso sproporzionato sulle donne. Lo stupro è usato come una tattica di guerra per creare paura e per umiliare le donne e le loro comunità. Ma la violenza sessuale è solo una delle forme di violenza che le donne e ragazze affrontano attraverso il continuum di violenza che esiste prima, durante e dopo l’apparente fine di un conflitto. Il militarismo non finisce né comincia in zone di guerra, né si limita alla sfera pubblica.

Anche regioni che non conoscono situazioni di conflitto diretto sono vulnerabili al militarismo; inviano truppe, producono e vendono armi, e investono nelle forze armate di governi stranieri piuttosto che nel sostegno agli sforzi di sviluppo. Questi governi hanno priorità distorte; spendono un’alta percentuale del loro bilancio in spese militari e in armi piuttosto che nei settori sociali come l’istruzione, il servizio sanitario, il lavoro e lo sviluppo, che permetterebero una vera sicurezza per le donne.

Per queste ragioni, il tema internazionale della Campagna 16 Giorni è:

Le strutture della violenza: definire le connessioni tra militarismo e violenza contro le donne.

Siamo coscienti che questa campagna non sarà facile da affrontare, e che molte attiviste e molti attivisti potrebbero essere esposti a reazioni negative e brutali per il loro lavoro. Il Centro per la leadership globale delle donne (Center for Women’s Global Leadership – CWGL) esorta le attiviste e gli attivisti a considerare la loro sicurezza con la massima attenzione mentre collaborano a questa campagna. Il CWGL continuerà a fornire risorse e informazioni generali:

http://www.cwgl.rutgers.edu


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Non mollare mai: incontro con Subhadra Khaperde

dal blog lunanuvola

(World Pulse, febbraio 2010, trad. e adattamento M.G. Di Rienzo)

Una donna Dalit, nello stato indiano di Madhya Pradesh, è l’eroina delle donne rurali, con le quali lotta per cambiare norme sociali oppressive. Insieme queste donne hanno vinto molte sfide, riuscendo ad esempio a veder riconosciuti i loro diritti alla terra e all’acqua.

World Pulse: Perché le donne, e perché ora?

Subhadra Khaperde: La storica femminista Gerda Lerner ha mostrato nel suo libro “Creation of Patriarchy” che le donne sono state le prime ad essere costrette alla subordinazione, e le ultime a capirlo. Sono le donne quelle che devono lottare più duramente, e devono farlo immediatamente, perché aspettare non ci porterà giustizia alcuna.

WP: Cosa significa crescere come donna Dalit nell’India rurale?

Subhadra: Le donne Dalit sono doppiamente oppresse, perché devono fronteggiare le discriminazioni nella società e l’oppressione patriarcale a casa propria. Io ho dovuto lottare con i miei fratelli per poter avere un’istruzione e, più tardi, per aver diritto alla proprietà. Persino nell’organizzazione in cui facevo lavoro sociale c’era discriminazione verso le donne, perciò ho dato le dimissioni e ho cominciato a lavorare per conto mio. Oggi devo lottare per i miei diritti con mio marito, con i professori che tengono i corsi che frequento all’università, e con le autorità statali.

Le donne non vengono considerate uguali agli uomini, si pensa che siano state create per lavorare, e sono soggette a punizioni fisiche e sessuali come se fossero schiave. Lasciando da parte lo stress psicologico, le donne finiscono per soffrire di anemia e di problemi inerenti la loro salute riproduttiva, come conseguenza di questo trattamento. Sia mentalmente sia fisicamente, la maggioranza delle donne conduce esistenze terribili.

WP: Qual è stato il tuo ruolo nell’assicurare i diritti alla terra, alla foresta e all’acqua per le donne di Madhya Pradesh?

Subhadra: Le ho organizzate affinché lottassero per i propri diritti. Ho scoperto molto presto che anche se ci sono leggi e politiche in favore delle donne, non verranno implementate sino a che le donne stesse non alzeranno la voce per chiederlo. Abbiamo fatto molti sforzi per migliorare la nostra condizione: abbiamo sostenuto scioperi della fame e io sono andata in galera assieme alle donne di Madhya Pradesh con cui avevo protestato contro l’ingiustizia.

Le tribù Bhilala di circa trenta villaggi hanno lottato insieme per riavere i loro diritti sulla terra. Le donne erano la prima linea. Eravamo noi ad avere a che fare con il personale del Dipartimento Forestale, e per averlo fronteggiato siamo andate in prigione. Dopo dieci anni di lotte abbiamo ottenuto “de facto” i diritti sulla foresta, ed ottenuto che essi vengano intitolati a moglie e marito insieme. Per la prima volta le donne Bhilala hanno titolo legale alla terra.

Queste stesse donne si sono organizzate in gruppi più piccoli per provvedere alla protezione della foresta accanto ai loro villaggi. Sono le foreste che loro hanno rigenerato, e che provvedono frutta e noci alle loro famiglie. Le donne vanno in giro a controllare che questi alberi non vengano tagliati. E le donne hanno anche costruito progetti di conservazione del suolo e dell’acqua, che migliorano la produttività agricola e quindi migliorano la vita dell’intera comunità.

L’aspetto più importante di questo movimento era far sì che le donne si organizzassero e fossero pronte a lottare e lavorare insieme. Una volta che ciò è accaduto, persino gli uomini hanno dovuto sostenerle, perché la ricompensa per le loro azioni ricadeva su tutti. Ci sono molti casi in cui questi uomini si assumono la responsabilità del lavoro domestico, affinché le donne possano partecipare alle azioni per i loro diritti umani, alla riforestazione comunitaria, ed al lavoro di conservazione di suolo ed acqua.

WP: Qual è la cosa più importante che hai imparato, come attivista per i diritti umani delle donne?

Subhadra: Che una non deve mai mollare, neppure di fronte alle difficoltà più pesanti. Lottare per la giustizia di genere è un compito ingrato, grazie all’enorme opposizione che viene dagli uomini, ma io continuerò il mio lavoro. E il futuro lo vedo luminoso, perché ad ogni giorno che passa, più donne lottano per i loro diritti.


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Stupidity Oscar: and the winner is…

di Maria G. Di Rienzo lunanuvola

Il capolavoro di idiozia riportato di seguito è arrivato alla mia casella di posta elettronica il 15.3.2010. Naturalmente non ho replicato, perché l’anonimato (la non assunzione di responsabilità) non merita risposta, e scrivo qui le mie considerazioni. Per carità di patria ometto il nickname completo dello scrivente, ma non i suoi errori di battitura o di ortografia/sintassi. Sono certa che se passa di qui si riconoscerà ugualmente. E spero, per il suo bene, che riesca a vergognarsi.

La posizione delle orecchie indica che il micio è leggermente scocciato

Ciao come stai?
Il mio nickname e’ R… 76 (se mi risponderai ti dirò il mio nome vero, ma mi sembrava più particolare usare uno pseudonimo, non per nascondermi ovviamente), comprendo benissimo cosa ti starai chiedendo.

Ma questo chi e’?
Lo conosco?
E’ uno scherzo?

La risposta e’ semplice: NO (nessuna delle ipotesi che avrai fatto e’ esatta)

Veramente un buon incipit: R… 76 è, innanzitutto, onnisciente. Sa cosa io penso, come mi sento, e che ipotesi faccio. Anche se non lo specificasse lui stesso nel “questo chi è”, si capirebbe benissimo che è un uomo. Complimenti. Se il “76” nel suo pseudonimo ha lo stesso significato del “59” nel mio indirizzo di posta elettronica, significa che questo soggetto ha 34 anni. Dall’infantilismo non li dimostra. Avrà capito che io ne ho 50 e che potrei essere sua madre? Continua a leggere