Fabbrica Treviso

Blog di Stefano Dall'Agata


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Dedicato ad una novantenne partigiana

Ieri era il novantesimo compleanno di Lidia Brisca Menapace, partigiana, femminista, donna di sinistra.

lidia menapace

Ho avuto il piacere di conoscerla, la invitammo a Treviso con la Rete di Lilliput a parlarci di pace e di femminismo, poi capitò che mi invitò al Convegno Per un’Europa “disarmata e neutrale” contro la guerra presso l’European Social Forum di Firenze.

Ripropongo qui il testo del mio intervento, che allora passò il severo esame della prof 🙂

European Social Forum “Come disarmare la finanza”

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Nel nome del “papi”

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO

Numero 395 del 5 dicembre 2010

Maria G. Di Rienzo: Nel nome del “papi”

Credo si debba dar credito di almeno una cosa alla Ministra Gelmini: pur facendo malissimo il suo lavoro, in una sola frase è riuscita a fotografare il “pensiero dominante” degli ultimi trent’anni italiani. Guardando dalla finestra, per così dire, la signora è sconcertata dal vedere pensionati e studenti protestare insieme. Che hanno a che fare gli uni con gli altri?, si chiede basita, Che interessi comuni possono avere?

Nel supermercato della giungla infatti, dove la Ministra vive e dove il suo governo pascola, tutti si vendono e/o comprano altri, ed ognuno è solo sino alla disperazione, perché chiunque si trovi accanto – se non è un oggetto da usare o un potente da agganciare – è un competitore, un ostacolo, un fastidio. Gli italiani non si sono tirati indietro: sulla base degli esempi e degli impulsi forniti dagli uomini e dalle donne “di successo”, incoraggiati dalla propaganda ossessiva dei media, abbagliati dai premi forniti alla disonestà e alla cialtroneria, hanno contribuito ad alzare il livello di violenza nel paese senza pensare che sarebbe ricaduto su di loro. Hanno giustificato ogni iniquità propria e altrui esattamente sul fondamento di una solitudine egoista. Ma singolarizzati non si vive.

Se l’ambiente è un terreno di caccia e sfruttamento l’immondizia si accumula sulle tue strade, il tuo fiume straripa, le tue case crollano, le varie patologie da inquinamento fanno ammalare ed uccidono te e i tuoi figli. Se le scuole sono aziende che devono produrre profitto, e parcheggi per i ragazzi in attesa che trovino da fare gli idioti in tv, è perfettamente normale che il bullismo sia esploso come un fungo atomico. Quando le donne non possono essere viste e rappresentate se non come imprenditrici del sesso a pagamento, hostess da tavolo, cigni da cubo, vassoi viventi e “talenti futuri”, ecco cosa aumenta: violenza domestica, violenza sessuale, disturbi dell’alimentazione nelle adolescenti, molestie sul lavoro (abbiamo il record europeo in quest’ultimo settore). Ed ecco cosa accade quotidianamente: bambine di quattro anni vestite come porno star fanno balletti “sexy” nel giorno del loro compleanno o nel cortile dell’asilo, bambini delle elementari – tutti o quasi “fidanzati” con coetanee – cercano pornografia su internet, studenti delle medie molestano pesantamente le compagne in classe, quando non le stuprano nei bagni, sotto gli occhi indifferenti degli insegnanti. Questi sono tutti episodi di cui io ho conoscenza diretta. Soli, ipersessualizzati, violenti e senza orizzonte: dai quattro anni in poi gli italiani e le italiane sembrano avere quest’unica prospettiva.

Di recente se n’è accorto anche il Censis (44° rapporto annuale sullo stato dell’Italia, dicembre 2010), definendo l’Italia “una società senza regole e senza sogni” attraversata dal “gusto apatico di compiere delitti comuni”. Il suo presidente De Rita ha rilasciato al proposito coltissime dichiarazioni piene di “auctoritas” e di “sregolazione pulsionale”, ma di fronte alla richiesta di rimedi si è rivelato un po’ meno profondo. Cosa possiamo fare, dunque? Preoccuparci del “padre che evapora” (santo cielo, abbassate i termostati!), quindi “ridare senso alla figura paterna” e “alla dimensione sociale del peccato”, ripartendo da un “desiderio” che nasca dalla “mancanza”. Il rapporto rileva con giusta perplessità i bambini affogati in giocattoli che neppure hanno chiesto e la mezza dozzina di cellulari a cranio italico, ma provate a portarglieli via e vedremo come il desiderio nato dalla mancanza si esprimerà: non si tratta solo di quante cose si hanno, signor presidente, ma di a che servono, di chi le usa e come le usa e per quali motivi, perché di fatto esse hanno sostituito le relazioni sociali e definiscono il posto nel mondo – il “successo”, il valore – di chi le possiede.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, contribuisce: ripartiamo dal singolo, invoca, per ritrovare “impulsi vitali” ed “energie positive”. No, grazie: al “singolo” (uno contro tutti nella competizione globale) ci siamo già. E’ la coscienza che il singolo esiste all’interno di un sistema di relazioni che manca, è la consapevolezza che ogni individuo umano è stato portato all’esistenza da una relazione che manca, e che il nostro stesso pianeta è una rete di relazioni viventi. E’ il riconoscere che viviamo grazie alla cooperazione, non grazie alla competizione, che manca. Quanto al desiderio di un “padre” che ci metta a posto fomentando in noi l’idea del peccato e strapazzandoci per farci rigare diritto lo rispedisco al mittente: ciò che i signori del Censis hanno osservato con le lacrime agli occhi è esattamente il prodotto estremo e spettacolarizzato della “legge dei padri”, il patriarcato.

Quando Mister “Ghe pensi mi” (l’attuale capo di governo) metteva in fila le cameriere nelle sue ville per dar loro lo sculaccione augurale, affinché quel giorno lavorassero bene e nessuna piega si formasse sulla tovaglia per gli ospiti, non stava facendo altro che il suo lavoro da padre-padrone e quasi nessuno – oltre a me – lo ha trovato ignobile; quando assieme ai suoi lacchè ha sponsorizzato la pagliacciata del “Family Day”, delegittimando ed insultando la mia, di famiglia, perché “sregolata” e “non tradizionale” (come non è “tradizionale” la maggioranza delle famiglie italiane), il padre-padrone si sentiva perfettamente in regola circondato da prelati, beghine, le sue due famiglie ed il corteggio di amanti a pagamento: è “tradizione”, infatti, che il patriarca possa concedersi ciò che ai comuni mortali è negato; quando le suddette dame di compagnia sessuale gli chiedevano favori (risolvimi l’abuso edilizio, prestami l’avvocato da talk show per i miei problemi legali, trovami un posto in tv o da parlamentare: e quelle che hanno sollevato i veli dell’ipocrisia lo hanno fatto solo perché non hanno ottenuto ciò che volevano) stavano ridando pieno “senso alla figura paterna”, quella del “tradizionale” padre onnipotente che dà e toglie a suo capriccio, che ha piena potestà sulla figliolanza reale e simbolica, e che è autorizzato ad usarla per il proprio godimento: fra i figli, quindi, deve scatenarsi la lotta più implacabile per ottenere i favori del padre, eliminare gli avversari, e infine prenderne il posto.

In questo quadro, lo stupore ministeriale che citavo all’inizio (“Che interessi comuni possono avere pensionati e studenti?”) è perfettamente logico: ognun per sé e dio per chi può pagarlo con le regalie alle scuole private, mentre quella pubblica affonda. So che la Ministra non leggerà mai la spiegazione che sto per fornirle, e che quand’anche ciò accadesse probabilmente non riuscirebbe (ancora) a capirla, tuttavia eccola qua: pensionati e studenti, lavoratori e attivisti sociali, stanno cominciando a ricordare di essere umani, e che sono umani solo grazie al fatto che altri esseri umani li hanno messi al mondo, hanno avuto cura di loro, si preoccupano per loro, li amano. Se al Censis non hanno le fette di “papi” sugli occhi dovrebbero accorgersi che tutto questo ricorda molto di più l’agire di una madre (o di un padre nient’affatto “tradizionale”). Una madre che non ti indica l’inferno più o meno trascendente – il “senso sociale del peccato” – ma un quotidiano esistere fatto di buone relazioni, di negoziazioni, di condivisione di abilità e risorse, di responsabilità e rispetto, come sistema per vivere meglio, insieme, tutte e tutti. Se vogliono prove di quanto dico, è probabile che non debbano guardare più lontano di casa propria. Maria G. Di Rienzo


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We Want Sex

We Want Sex

Fonte: Cinema Edera Treviso

https://i0.wp.com/www.luckyred.it/wewantsex/fondo.jpg Genere: Commedia
Regista: Nigel Cole
Attori: Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Richardson, Geraldine James, Rosamund Pike
Durata: 113′
Titolo originale: We Want Sex
Sito ufficiale

Dal regista di “Calendar Girls” arriva un nuovo dramedy con un cast interamente british, “We want sex”. Sally Hawkins interpreta il ruolo di Rita O’Grady, leader carismatica nello sciopero di 187 operaie delle macchine da cucire della Ford Dagenham, nel 1968, che portò alla sigla della Legge sulla Parità di Retribuzione. Dagenham, 1968. La fabbrica della Ford è il cuore industriale dell’Essex (Inghilterra) e dà lavoro a 55mila operai. Mentre gli uomini lavorano alle automobili nel nuovo dipartimento, 187 donne cuciono i sedili in pelle nell’ala della fabbrica costruita nel 1920, che cade a pezzi corrosa dalla pioggia. Lavorando in condizioni insostenibili, le operaie finiscono per perdere la pazienza quando vengono classificate come ‘operaie non qualificate’. Con ironia, buon senso e coraggio riescono a farsi ascoltare dai sindacati, dalla comunità locale e dal governo. Rita O’Grady, loquace e battagliera leader del gruppo, diventerà un vero e proprio ostacolo, duro e insuperabile, per il management maschile e troverà sostegno nella deputata Barbara Castle che le consentirà di sfidare anche il Parlamento. Insieme alle colleghe Sandra, Eileen, Brenda, Monica e Connie, Rita guiderà lo sciopero delle 187 operaie addette alle macchine per cucire, ponendo le basi per la legge sulla parità di diritti e di salario tra uomo e donna. Il cinema basato sulla conquista di un diritto è una specie di genere a parte, basato su una struttura molto rigida. C’è una situazione ‘normale’ che sembrerebbe destinata a restare immutabile finché non interviene un fatto che fa la differenza e che innesca una serie di eventi che porta in modo ineluttabile a una risoluzione in senso ‘progressista’. Ogni snodo narrativo è codificato, l’eroe incontra difficoltà, pensa di rinunciare, a un certo punto si sente isolato e le cose peggiorano sempre di più finché non vengono provvidenzialmente risolte da tutto il lavoro che l’eroe stesso ha realizzato fino a quel momento. “We want sex” è in un certo senso un titolo incompleto, il titolo completo è “We want sex equality”, e si riferisce alle lotte per la parità di trattamento economico avvenute in Inghilterra verso la fine degli anni sessanta. Il teatro in cui si svolge questo scontro è lo stabilimento britannico della Ford, azienda emblema del modello di industria basato sulla produttività portata al massimo livello. Lo scontro non è soltanto tra le maestranze femminili ed impresa, ma paradossalmente e in primo luogo tra maestranze femminili e sindacato. Un sindacato che pensa che i suoi strumenti di lotta vadano affilati in primo luogo per i lavoratori maschi. Il ritratto corale della comunità di Dagenham è messo perfettamente a fuoco, dall’assemblea delle donne al lavoro, svestite per il caldo ma capaci di spaventare un maschio più di una truppa armata, alle chiacchiere tra uomini al bancone del pub. Inoltre, la forza e la consapevolezza con cui le donne delle case popolari affrontano la materia politica, presunto appannaggio di maschi acculturati, facendo suonare la sveglia anche nelle orecchie delle signore borghesi, è trattato con onestà e partecipazione. È il cuore del film, ciò che lo muove e che commuove: nasce dalle testimonianze di alcune reali protagoniste dell’evento storico e, nonostante i passaggi intercorsi, conserva ancora qualcosa del colore della verità.


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Di cos’è fatto il buio

di Maria G. Di Rienzo

(testo della presentazione del romanzo “Nostra Signora della Luce” alla Fiera della Microeditoria di Chiari, 13.11.2010)

Come ho immaginato una delle protagoniste, grazie a questo disegno

 

“Nostra Signora della Luce” è essenzialmente un’anti-utopia, classificabile nella fantascienza post-catastrofe. Voi sapete che “utopia” significa “non-luogo”, ma il significato attuale del termine – non solo per quanto riguarda la letteratura – è “luogo buono”, o “luogo perfetto”, dove i problemi del tempo presente sono stati risolti; un’anti-utopia, per contro, può condurre all’estremo i problemi del tempo presente e mostrarci il peggiore possibile dei mondi.

L’utopia e l’anti-utopia sono sempre state usate come forma immaginativa della critica sociale: sembrano distantissime dalla realtà, ma di solito sono una sfida di chi scrive all’assetto presente in cui si trova. Per le donne in particolare, sin dal 1600, scrivere utopie o anti-utopie è stato il poter dare voce a sogni e pratiche di libertà. Il fantastico femminile di questo tipo fornisce, infatti, un’esperienza di lettura trasformativa, e cioè rende ad esempio i lettori consci delle strutture del genere e delle metafore concettuali che le sostengono: abilita quindi i lettori a mettere in questione le cosiddette “verità” quotidiane su cosa sia essere uomini o essere donne. Continua a leggere


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La politica dei calci

di Maria G. Di Rienzo

Vivere in un ambiente tossico, inquinato, devastato, non giova com’è ovvio ne’ alla salute del corpo ne’ alla salute della mente (distinguo i piani per comodità, ma lo stare bene di un essere vivente è in sostanza l’armonia dell’interazione fra essi). L’Italia di oggi è in senso metaforico e reale una gigantesca discarica di rifiuti nocivi: sono tossiche le relazioni sociali e quelle fra i generi, sono estremamente tossici i media e le loro “notizie”. In poche parole, non solo siamo ammalati, ma non stiamo facendo nulla per guarire: continuiamo ad accatastare spazzatura mortale nelle nostre esistenze, sperando di cavarci un guadagno, di distruggere chi ci infastidisce o ci contraddice, di scalare la montagna di immondizia nel mentre la rendiamo sempre più alta.

Ogni volta in cui persone che hanno un considerevole potere di manovra economico e/o politico scaricano le loro tonnellate di nocività nella vita sociale del nostro paese, io mi pongo la stessa trita domanda: “Sanno quel che fanno? Sono consci delle conseguenze?” E’ questione vieta, ma non da poco per chi desidera contrastare questo stato di cose. Se il mio oppositore è crudele, spietato ed egoista ma intelligente, riconoscerà almeno se nella sua azione c’è qualcosa che danneggia anche lui (e vi saranno maggiori probabilità che la sua azione cambi), ma se il mio oppositore oltre ad essere crudele eccetera è un idiota cercherà semplicemente di andare avanti sino alla rovina sua e mia.

“Nonviolento, non silenzioso”

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Motivi di coscienza

“Libertà”: e cioè il diritto dei fondamentalisti religiosi di discriminare chiunque altro.

di Amanda Marcotte per Reality Check, 3 agosto 2010, trad. e adattamento M.G. Di Rienzo

I contrari alla scelta, in materia di salute riproduttiva, hanno cominciato con il propagandare l’idea che i farmacisti non devono vendere contraccettivi se questo in qualche modo viola la loro viscerale repulsione per ciò che credono essere roba da donnacce. Ma qualcuno pensa ci sia fermati qui? Una volta diffusa l’idea che tu hai il diritto di non fare il tuo lavoro se disapprovi la vita sessuale di un tuo cliente, le porte si sono spalancate per ogni sorta di discriminazione nei confronti dei consumatori, seguite da sceneggiate da martiri se qualcuno insiste a chiederti di svolgere il tuo lavoro.

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Nostra Signora della Luce

NOSTRA SIGNORA DELLA LUCE, il romanzo di Maria G. Di Rienzo giunto in dirittura d’arrivo pochi giorni prima della fiera è secondo me un libro importante.

Sconcertante sempre scoprire come le capacità profetiche di una artista riescano ad esprimersi e a dar voce alle nostre peggiori paure, ed a coagulare in un racconto ben scritto, godibile, coinvolgente, la massa di problemi che da soli ci stiamo costruendo per farli divenire la Treviso post cancellazione del sole, rimasta ormai senza animali, se non qualche piccolo insetto, incapace di fare altro che mantenere e rammendare gli oggetti in disfacimento.

La scoperta delle possibilità di vita, la contemplazione, la bellezza, l’ansia con cui la giovane Abra registra la perdita di ogni albero, i segni di sofferenza e di morte che ritrova in un salice, ci porta a guardare con occhio più attento anche alla nostra realtà, alle nostre vite, alla vita delle piante e degli animali intorno a noi. Scoprire una lucciola è tuttora una esperienza che ci rende felici, mentre accorgersi che troppo spesso, accanto al rigoglio di foglie, gli alberi che incontriamo hanno rami secchi, cime ormai morte, ci fa ricordare che la distruzione è in atto, urge un cambiamento di rotta e la nostra cura, se non vogliamo assistere al degrado ed alla distruzione del nostro mondo.

Nel racconto sprazzi di ironia mostrano come l’ignoranza, l’aver rifiutato la memoria e la storia, ed i libri, possono portarci a mitizzare le cose più assurde, così Maria ricorda come un anello in ferro con inciso Motorhead trovato in qualche anfratto dove è sopravvissuto, può divenire un prezioso oggetto di famiglia, una reliquia con significati religiosi profondi.

E la religione, la Rivelazione del secondo avvento, diviene unica norma e regola, nuova religione di stato che regola le vite, condanna, impedisce, approva, in una confusione di idee e di mezzi, di poteri che ad essa si rifanno.

Il riscatto alla fine avverrà con il lento lavorio della storia che porta le coscienze a prendersi la responsabilità di se stesse, a divenire attori della propria vita, a rifiutare l’oppressione, ed il momento si intreccia con il giungere di questo essere nuovo e sconosciuto, una donna sapiente e forte, ma nuova anche a se stessa, clone che non ha ricevuto le conoscenze della sua origine-madre …

Nicoletta Crocella (dal resconto della FIERA DELLA PICCOLA EDITORIA E DELLE AUTOPRODUZIONI LIBRARIE – 4^ EDIZIONE – BASSANO IN TEVERINA – 25/27 GIUGNO 2010)

EDIZIONI STELLE CADENTI

Via Aniene 40 Bassano in Teverina VT – www.edizionistellecadenti.org/

http://www.autistici.org/stellecadenti/home.htm

tel. 0761 407403 email:

stellecadenti@tiscali.it

nicoletta@edizionistellecadenti.org

nicam6/gmail.com

Nata in un’associazione che si occupa innanzi tutto di arti visive, la casa editrice segue un progetto di interazione tra le varie anime realizzando libri a tiratura limitata con testi poetici, di narrativa, saggi, esperimenti letterari a più mani. Si hanno così alcuni libri in numero molto ridotto di copie ed altri con una tiratura variabile, ripetuta all’occorrenza in base alla necessità di copie e in cui l’intervento dell’artista è spesso inserito nello scorrere del testo oltre che comparire in alcune preziose copie in originale.

Una nuova collana scritti per leggere, permette di realizzare anche testi più importanti in cui la grafica e l’impaginazione sono pensate per evitare lo spreco delle risorse del pianeta e proporre interventi semplici ma che segnano la cadenza del discorso.


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Altreconomia :: Le donne reggono il mondo

Le donne reggono il mondo. Lavorano più degli uomini, si fanno carico del “welfare domestico” quotidiano, gestiscono l’economia e il denaro con più lungimiranza, in situazioni di crisi, in casa o nella propria azienda. Eppure in tutto il mondo guadagnano meno e sono meno rappresentate nelle istituzioni, nei Parlamenti e nei consigli d’amministrazione delle imprese. Queste pagine  sono un punto di vista, diverso e plurale, per comprendere i motivi di tali diseguaglianze e “cucinare” un futuro diverso. 12 conversazioni per dare voce alle intuizioni di esperte e studiose le cui opinioni spesso si perdono tra quelle gridate degli uomini e che raccontano un’altra economia, fatta non solo di profitti, ma di relazioni,  di cura delle intuizioni, di attenzione alle prossime generazioni. L’economia, il welfare, il lavoro, le leggi e la tutela dei diritti, l’accesso al cibo, i cambiamenti climatici, l’urbanistica in una prospettiva di genere e nelle parole di  Simona Beretta, Marina Terragni, Ann Pettifor, Monica D’Ascenzo, Manuela Naldini, Francesca Bettio, Paola Villa, Beatrice Costa, Liana Ricci, Silvia Macchi e Stefania Scarponi.

Elena Sisti si occupa di ricerca economica, è esperta in particolare di sviluppo e sostenibilità
Beatrice Costa
si occupa di ricerca su diritti delle donne e politiche di genere per ActionAid

Altreconomia :: Le donne reggono il mondo.


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Non mollare mai: incontro con Subhadra Khaperde

dal blog lunanuvola

(World Pulse, febbraio 2010, trad. e adattamento M.G. Di Rienzo)

Una donna Dalit, nello stato indiano di Madhya Pradesh, è l’eroina delle donne rurali, con le quali lotta per cambiare norme sociali oppressive. Insieme queste donne hanno vinto molte sfide, riuscendo ad esempio a veder riconosciuti i loro diritti alla terra e all’acqua.

World Pulse: Perché le donne, e perché ora?

Subhadra Khaperde: La storica femminista Gerda Lerner ha mostrato nel suo libro “Creation of Patriarchy” che le donne sono state le prime ad essere costrette alla subordinazione, e le ultime a capirlo. Sono le donne quelle che devono lottare più duramente, e devono farlo immediatamente, perché aspettare non ci porterà giustizia alcuna.

WP: Cosa significa crescere come donna Dalit nell’India rurale?

Subhadra: Le donne Dalit sono doppiamente oppresse, perché devono fronteggiare le discriminazioni nella società e l’oppressione patriarcale a casa propria. Io ho dovuto lottare con i miei fratelli per poter avere un’istruzione e, più tardi, per aver diritto alla proprietà. Persino nell’organizzazione in cui facevo lavoro sociale c’era discriminazione verso le donne, perciò ho dato le dimissioni e ho cominciato a lavorare per conto mio. Oggi devo lottare per i miei diritti con mio marito, con i professori che tengono i corsi che frequento all’università, e con le autorità statali.

Le donne non vengono considerate uguali agli uomini, si pensa che siano state create per lavorare, e sono soggette a punizioni fisiche e sessuali come se fossero schiave. Lasciando da parte lo stress psicologico, le donne finiscono per soffrire di anemia e di problemi inerenti la loro salute riproduttiva, come conseguenza di questo trattamento. Sia mentalmente sia fisicamente, la maggioranza delle donne conduce esistenze terribili.

WP: Qual è stato il tuo ruolo nell’assicurare i diritti alla terra, alla foresta e all’acqua per le donne di Madhya Pradesh?

Subhadra: Le ho organizzate affinché lottassero per i propri diritti. Ho scoperto molto presto che anche se ci sono leggi e politiche in favore delle donne, non verranno implementate sino a che le donne stesse non alzeranno la voce per chiederlo. Abbiamo fatto molti sforzi per migliorare la nostra condizione: abbiamo sostenuto scioperi della fame e io sono andata in galera assieme alle donne di Madhya Pradesh con cui avevo protestato contro l’ingiustizia.

Le tribù Bhilala di circa trenta villaggi hanno lottato insieme per riavere i loro diritti sulla terra. Le donne erano la prima linea. Eravamo noi ad avere a che fare con il personale del Dipartimento Forestale, e per averlo fronteggiato siamo andate in prigione. Dopo dieci anni di lotte abbiamo ottenuto “de facto” i diritti sulla foresta, ed ottenuto che essi vengano intitolati a moglie e marito insieme. Per la prima volta le donne Bhilala hanno titolo legale alla terra.

Queste stesse donne si sono organizzate in gruppi più piccoli per provvedere alla protezione della foresta accanto ai loro villaggi. Sono le foreste che loro hanno rigenerato, e che provvedono frutta e noci alle loro famiglie. Le donne vanno in giro a controllare che questi alberi non vengano tagliati. E le donne hanno anche costruito progetti di conservazione del suolo e dell’acqua, che migliorano la produttività agricola e quindi migliorano la vita dell’intera comunità.

L’aspetto più importante di questo movimento era far sì che le donne si organizzassero e fossero pronte a lottare e lavorare insieme. Una volta che ciò è accaduto, persino gli uomini hanno dovuto sostenerle, perché la ricompensa per le loro azioni ricadeva su tutti. Ci sono molti casi in cui questi uomini si assumono la responsabilità del lavoro domestico, affinché le donne possano partecipare alle azioni per i loro diritti umani, alla riforestazione comunitaria, ed al lavoro di conservazione di suolo ed acqua.

WP: Qual è la cosa più importante che hai imparato, come attivista per i diritti umani delle donne?

Subhadra: Che una non deve mai mollare, neppure di fronte alle difficoltà più pesanti. Lottare per la giustizia di genere è un compito ingrato, grazie all’enorme opposizione che viene dagli uomini, ma io continuerò il mio lavoro. E il futuro lo vedo luminoso, perché ad ogni giorno che passa, più donne lottano per i loro diritti.