di Maria G. Di Rienzo
Ieri ho improvvisamente desiderato di ubriacarmi, di stordirmi sino all’ottundimento dei sensi, di diventare incapace di riflettere e di provare sentimenti almeno per qualche ora. Perché ieri, 12 luglio 2023, questa notizia ha fatto traboccare il vaso: “Firenze, sesso e video con due dodicenni alla festa di Capodanno: 24 indagati (…) per sei l’accusa è violenza sessuale, per altri 18 di divulgazione di materiale pedo-pornografico.” I 24 sono tutti minorenni. Le dodicenni, ovviamente, sono femmine.
Cercate di capirmi: ogni giorno che il Fato (o la Divinità di vs. scelta) manda in Terra, io leggo i giornali. Leggo tutto quel che posso in ogni lingua che bazzico. Varie testate italiane, l’Ansa, The Guardian, The New York Times, El País e persino il Joongang Daily. Limitiamoci all’Italia: perseguitata dalla maledizione che è la voglia di sapere in che Paese vivo, confronto e scandaglio notizie – e l’amara verità è che non riesco a sfuggire alla cronaca della violenza contro le donne. Come detto, ogni singolo italico giorno: se non è un femminicidio è uno stupro, se non è uno stupro è un pestaggio, se non è un pestaggio è uno stalking, se non è uno stalking è body shaming, se non è body shaming è revenge porn, se non è revenge porn… eccetera (potrei tradurvi tutti i termini inglesi, ma preferisco far dispetto a Valditara).
Le ciliegine puzzolenti su una torta che è già di sterco sono gli articoli / le interviste / i commentari prodotti in relazione a questa valanga di violenza. Si va dai consueti “consigli” imbecilli dati a posteriori alle vittime – non si esce vestite così, non si va all’appuntamento con l’ex e comunque denunciate, denunciate! – agli altrettanto consueti ammiccamenti ai perpetratori (provocati, stressati, depressi, vittimizzati dal femminismo), con punte di diamante quali sono stati i recenti “suggerimenti” sul silenzio dovuto dalla politica e dalla stampa ai poveri notissimi padri di due presunti stupratori.
Non ne usciamo. Non c’è un cane che voglia affrontare le radici della violenza di genere e proporre azioni tese alla loro rimozione. Forse l’unica cagna rimasta sono io. E va bau, comincio con un esempio.
La Ministra Roccella ci ha reso edotti della squisita sensibilità e delle geniale creatività di Babbo La Russa, il quale in passato – prima del casus Apache, suppongo – avrebbe proposto una manifestazione di uomini contro la violenza diretta alle donne (ne sono state organizzate e sono organizzate tuttora, in svariati paesi europei e non, da decenni).
Si tratta dello stesso Babbo La Russa che per anni ha compilato le liste delle deputate più gnocche e meglio vestite (si chiama oggettivazione ed è una delle radici di cui sopra); si tratta dello stesso personaggio che si è lamentato di recente in TV della scarsità di donne politiche “belle” (come sopra, con l’aggiunta dello svergognamento relativo ai corpi che non gli piacciono); si tratta dello stesso personaggio che gira per Roma con una tizia vestita come se fosse appena uscita da un kinky party (festino a contenuto sessuale esplicito, bizzarro ed eccentrico) o dovesse portarci l’Ignazio, alta circa due metri (ma 50 cm. sono di tacchi), che ha il grave compito ufficiale di reggergli il / un telefonino.
Non voglio tirarla in lungo, ma cosa diavolo ne sa La Russa di contrasto alla violenza di genere e cosa può aver insegnato ai figli in proposito? Cosa ne sanno Grillo o Salvini che hanno tirato spazzatura sessista su Laura Boldrini (e non solo) per anni??? Vado oltre: cosa ne sa Chiara Ferragni, che non crea nulla, non produce nulla, contribuisce solo a far vendere roba altrui tramite quella che, in sociologia, si chiama “femminilità enfatizzata” piazzata sulle merci come marchio attira-click. Tu puoi pensarti libera quanto vuoi, ma la terminologia suddetta è sinonimo di un carico di catene e palle ai piedi. Le sue norme incoraggiano le donne a soddisfare gli appetiti sessuali degli uomini e il loro desiderio di dominio e controllo. Legittimizza la gerarchia di genere e nutre varie forme di oppressione.
Se come donna invece che “pensarti” libera (nella tua cameretta, di notte, quando nessuno ti vede) agisci come libera, allontanandoti di un solo passo dalle nozioni culturali stereotipate della femminilità enfatizzata, esibendo sfida o semplice autorevolezza, moltissimi uomini – probabilmente la maggioranza – si sentono oltraggiati, minacciati, arrabbiati. Non gli si rizza il piffero, è uno scandalo! E tu diventi di punto in bianco socialmente indesiderabile, una stronza, una fica di legno, una lesbicona, una cozza, una schifosa – lurida – cicciona/tavola piatta senza culo – che – deve – morire – subito.
Cominciate a contare? Oggettivazione, body shaming, femminilità come serie di norme imposte, IPERSESSUALIZZAZIONE. Se non susciti ardenti e sguaiati pensieri nel fratelli di turno, ragazza mia, non vali un fico secco.
Giacché i media sparano questa cacca a tutto volume, 24 ore su 24 e senza che un pensiero critico riesca a infilarsi in migliaia di commenti / post / video strombazzanti l’unico concetto per cui una femmina umana è “un giocattolo sessuale che aspetta di essere usato dal valente maschio di turno” (tutti i maschi sono valenti, in questa narrazione), donne, ragazze e persino bambine interiorizzano l’idea che l’unica cosa di valore in loro possesso sono i loro corpi: beninteso, se tali corpi corrispondono agli standard sociali richiesti. Altrimenti, c’è la tavola della sala operatoria (dove invece di risvegliarti stragnocca più spesso muori o resti disabile / sfregiata), le accoglienti rotaie della ferrovia o il volo dal quinto piano. Certo, c’è anche una vita in cui tre quarti della gente in cui ti imbatti (nota, imparentata o sconosciuta) ti sputa in faccia sentendosi legittimata dall’ambaradan sociale sopra descritto: trascini questa tua vita fin che puoi, perché NON RIESCI A SENTIRE UNA SINGOLA VOCE che dice qualcosa d’altro.
Le bambine italiane, nel 2023, studiano su testi che contengono le seguenti frasi: “Tizia è troppo grassa per mettersi la minigonna”; “Caia è bruttissima e nessun ragazzo la guarda, mentre sua sorella Sempronia sembra un angelo”; “Mamma cucina e lava i piatti, papà lavora in ufficio”. Vedono in TV una donna a capo di un governo che si fa chiamare IL PRESIDENTE, vedono una ministra che dichiara di detestare le declinazioni al femminile e presenta l’Italia come un prodotto da vendere tramite l’influencer-gnocca (la povera Venere di Botticelli è stata persino “smagrita” per rispondere allo scopo)… cosa ci aspettiamo che facciano? E’ così strano se cercano di adeguarsi, inghiottendo oceani di infelicità e disistima, con balletti e cosmetici e diete del menga, soprattutto nel momento delle loro esistenze in cui la validazione del gruppo di pari riveste una notevole importanza?
Ma io ho qualcosa da dire alle bambine / ragazze / donne italiane: per amor di voi stesse, nei modi e nei tempi da voi decisi, su Tik Tok o su YouTube o sui vostri profili social, a scuola, a casa, all’oratorio, al bar, al lavoro… RIBELLATEVI. E’ l’unico sistema per creare un ambiente nuovo, accogliente, giusto, amichevole, ispirato che contrasti la violenza di genere. Invece di imitare la star di turno, inventate performance su ciò che siete realmente, su ciò che sperate e desiderate, sui vostri talenti, sulla necessità di essere libere dalla violenza. Vi chiamo alla rivolta non perché pensi di essere la pasionaria inviatavi dal destino, ma perché sono convinta che ognuna di voi ha valore: che sia bionda, bruna, alta, bassa, gigante, nana, magra, formosa, ben piantata, muscolosa, in carrozzella… qualunque vostra caratteristica fisica è un dato che vi contraddistingue, non un compito che altri devono valutare. Vi chiamo alla rivolta perché vi amo.
Maria G. Di Rienzo
P.S. E poi, ieri mi sono ubriacata? No, ho corretto il caffè con la sambuca e mi sono asciugata gli occhi.