Fabbrica Treviso

Blog di Stefano Dall'Agata


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PERCHÉ VI AMO

di Maria G. Di Rienzo

Ieri ho improvvisamente desiderato di ubriacarmi, di stordirmi sino all’ottundimento dei sensi, di diventare incapace di riflettere e di provare sentimenti almeno per qualche ora. Perché ieri, 12 luglio 2023, questa notizia ha fatto traboccare il vaso: “Firenze, sesso e video con due dodicenni alla festa di Capodanno: 24 indagati (…) per sei l’accusa è violenza sessuale, per altri 18 di divulgazione di materiale pedo-pornografico.” I 24 sono tutti minorenni. Le dodicenni, ovviamente, sono femmine.

Cercate di capirmi: ogni giorno che il Fato (o la Divinità di vs. scelta) manda in Terra, io leggo i giornali. Leggo tutto quel che posso in ogni lingua che bazzico. Varie testate italiane, l’Ansa, The Guardian, The New York Times, El País e persino il Joongang Daily. Limitiamoci all’Italia: perseguitata dalla maledizione che è la voglia di sapere in che Paese vivo, confronto e scandaglio notizie – e l’amara verità è che non riesco a sfuggire alla cronaca della violenza contro le donne. Come detto, ogni singolo italico giorno: se non è un femminicidio è uno stupro, se non è uno stupro è un pestaggio, se non è un pestaggio è uno stalking, se non è uno stalking è body shaming, se non è body shaming è revenge porn, se non è revenge porn… eccetera (potrei tradurvi tutti i termini inglesi, ma preferisco far dispetto a Valditara).

Le ciliegine puzzolenti su una torta che è già di sterco sono gli articoli / le interviste / i commentari prodotti in relazione a questa valanga di violenza. Si va dai consueti “consigli” imbecilli dati a posteriori alle vittime – non si esce vestite così, non si va all’appuntamento con l’ex e comunque denunciate, denunciate! – agli altrettanto consueti ammiccamenti ai perpetratori (provocati, stressati, depressi, vittimizzati dal femminismo), con punte di diamante quali sono stati i recenti “suggerimenti” sul silenzio dovuto dalla politica e dalla stampa ai poveri notissimi padri di due presunti stupratori.

Non ne usciamo. Non c’è un cane che voglia affrontare le radici della violenza di genere e proporre azioni tese alla loro rimozione. Forse l’unica cagna rimasta sono io. E va bau, comincio con un esempio.

La Ministra Roccella ci ha reso edotti della squisita sensibilità e delle geniale creatività di Babbo La Russa, il quale in passato – prima del casus Apache, suppongo – avrebbe proposto una manifestazione di uomini contro la violenza diretta alle donne (ne sono state organizzate e sono organizzate tuttora, in svariati paesi europei e non, da decenni).

Si tratta dello stesso Babbo La Russa che per anni ha compilato le liste delle deputate più gnocche e meglio vestite (si chiama oggettivazione ed è una delle radici di cui sopra); si tratta dello stesso personaggio che si è lamentato di recente in TV della scarsità di donne politiche “belle” (come sopra, con l’aggiunta dello svergognamento relativo ai corpi che non gli piacciono); si tratta dello stesso personaggio che gira per Roma con una tizia vestita come se fosse appena uscita da un kinky party (festino a contenuto sessuale esplicito, bizzarro ed eccentrico) o dovesse portarci l’Ignazio, alta circa due metri (ma 50 cm. sono di tacchi), che ha il grave compito ufficiale di reggergli il / un telefonino.

Non voglio tirarla in lungo, ma cosa diavolo ne sa La Russa di contrasto alla violenza di genere e cosa può aver insegnato ai figli in proposito? Cosa ne sanno Grillo o Salvini che hanno tirato spazzatura sessista su Laura Boldrini (e non solo) per anni??? Vado oltre: cosa ne sa Chiara Ferragni, che non crea nulla, non produce nulla, contribuisce solo a far vendere roba altrui tramite quella che, in sociologia, si chiama “femminilità enfatizzata” piazzata sulle merci come marchio attira-click. Tu puoi pensarti libera quanto vuoi, ma la terminologia suddetta è sinonimo di un carico di catene e palle ai piedi. Le sue norme incoraggiano le donne a soddisfare gli appetiti sessuali degli uomini e il loro desiderio di dominio e controllo. Legittimizza la gerarchia di genere e nutre varie forme di oppressione.

Se come donna invece che “pensarti” libera (nella tua cameretta, di notte, quando nessuno ti vede) agisci come libera, allontanandoti di un solo passo dalle nozioni culturali stereotipate della femminilità enfatizzata, esibendo sfida o semplice autorevolezza, moltissimi uomini – probabilmente la maggioranza – si sentono oltraggiati, minacciati, arrabbiati. Non gli si rizza il piffero, è uno scandalo! E tu diventi di punto in bianco socialmente indesiderabile, una stronza, una fica di legno, una lesbicona, una cozza, una schifosa – lurida – cicciona/tavola piatta senza culo – che – deve – morire – subito.

Cominciate a contare? Oggettivazione, body shaming, femminilità come serie di norme imposte, IPERSESSUALIZZAZIONE. Se non susciti ardenti e sguaiati pensieri nel fratelli di turno, ragazza mia, non vali un fico secco.

Giacché i media sparano questa cacca a tutto volume, 24 ore su 24 e senza che un pensiero critico riesca a infilarsi in migliaia di commenti / post / video strombazzanti l’unico concetto per cui una femmina umana è “un giocattolo sessuale che aspetta di essere usato dal valente maschio di turno” (tutti i maschi sono valenti, in questa narrazione), donne, ragazze e persino bambine interiorizzano l’idea che l’unica cosa di valore in loro possesso sono i loro corpi: beninteso, se tali corpi corrispondono agli standard sociali richiesti. Altrimenti, c’è la tavola della sala operatoria (dove invece di risvegliarti stragnocca più spesso muori o resti disabile / sfregiata), le accoglienti rotaie della ferrovia o il volo dal quinto piano. Certo, c’è anche una vita in cui tre quarti della gente in cui ti imbatti (nota, imparentata o sconosciuta) ti sputa in faccia sentendosi legittimata dall’ambaradan sociale sopra descritto: trascini questa tua vita fin che puoi, perché NON RIESCI A SENTIRE UNA SINGOLA VOCE che dice qualcosa d’altro.

Le bambine italiane, nel 2023, studiano su testi che contengono le seguenti frasi: “Tizia è troppo grassa per mettersi la minigonna”; “Caia è bruttissima e nessun ragazzo la guarda, mentre sua sorella Sempronia sembra un angelo”; “Mamma cucina e lava i piatti, papà lavora in ufficio”. Vedono in TV una donna a capo di un governo che si fa chiamare IL PRESIDENTE, vedono una ministra che dichiara di detestare le declinazioni al femminile e presenta l’Italia come un prodotto da vendere tramite l’influencer-gnocca (la povera Venere di Botticelli è stata persino “smagrita” per rispondere allo scopo)… cosa ci aspettiamo che facciano? E’ così strano se cercano di adeguarsi, inghiottendo oceani di infelicità e disistima, con balletti e cosmetici e diete del menga, soprattutto nel momento delle loro esistenze in cui la validazione del gruppo di pari riveste una notevole importanza?

Ma io ho qualcosa da dire alle bambine / ragazze / donne italiane: per amor di voi stesse, nei modi e nei tempi da voi decisi, su Tik Tok o su YouTube o sui vostri profili social, a scuola, a casa, all’oratorio, al bar, al lavoro… RIBELLATEVI. E’ l’unico sistema per creare un ambiente nuovo, accogliente, giusto, amichevole, ispirato che contrasti la violenza di genere. Invece di imitare la star di turno, inventate performance su ciò che siete realmente, su ciò che sperate e desiderate, sui vostri talenti, sulla necessità di essere libere dalla violenza. Vi chiamo alla rivolta non perché pensi di essere la pasionaria inviatavi dal destino, ma perché sono convinta che ognuna di voi ha valore: che sia bionda, bruna, alta, bassa, gigante, nana, magra, formosa, ben piantata, muscolosa, in carrozzella… qualunque vostra caratteristica fisica è un dato che vi contraddistingue, non un compito che altri devono valutare. Vi chiamo alla rivolta perché vi amo.

Maria G. Di Rienzo

P.S. E poi, ieri mi sono ubriacata? No, ho corretto il caffè con la sambuca e mi sono asciugata gli occhi.


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Il degrado della destra italiana

La pubblicazione del video di uno stupro da parte di Giorgia Meloni mostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la bassezza morale dei “post” fascisti italiani.

Fa il paio con il suo discepolo locale Davide Acampora che privo di vergogna pubblicò un video di una signora anziana (con evidenti problemi di disagio personale) per denunciare il “degrado” a Treviso.

Tutto questo deve far riflettere chi dice che il fascismo non c’è e derubrica a folclore le celebrazioni del criminale Benito Mussolini.


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Stupratori: 100% maschi?

Due giorni fa, a seguito della querelle seguita agli stupri di gruppo a Rimini, in cui il dibattito esprimeva affermazioni direttamente conseguenti alla quantità di razzismo o anti razzismo presente tra i vari interlocutori, ho deciso di fare un Tweet con una considerazione che ho in mente da tempo.
Si tratta di una presa d’atto della realtà che vede nei fatti di cronaca, come nelle totalità delle denunce raccolte dalle Forze dell’Ordine, il 100% degli stupratori composto da maschi.

Il Tweet era questo:

Scoperta la categoria di esseri umani responsabile del 100% dei casi di #stupro. Si tratta di maschi.

Schermata del 2017-09-03 10-27-13

Il motivo del post è lo stesso che mi ha spinto anni fa a sottoscrivere l’Appello di Maschile/Plurale “La violenza contro le donne ci riguarda: prendiamo parola come uomini” , che si concludeva con questa richiesta:
“Chiediamo che si apra finalmente una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione, nel mondo del lavoro. Una riflessione comune capace di determinare una sempre più riconoscibile svolta nei comportamenti concreti di ciascuno di noi.”

Immaginavo, data la cultura maschilista molto più presente tra i razzisti, che tendenzialmente sono anche più omofobi, che il Tweet potesse infastidire soprattutto quell’area; anche perché come è stato fatto rilevare pure da altri, la sottolineatura dell’etnia degli stupratori, oltre a dar sfogo al proprio razzismo, è evidentemente finalizzata anche a nascondere il sistema patriarcale di subordinazione delle donne da parte degli uomini, di cui la cultura dello stupro è parte integrante
Con mio stupore, oltre alle ovvie critiche sui social da parte degli MRA (Men Rights Association), mi sono arrivate critiche da persone dell’area di sinistra, e soprattutto da alcune donne che si dicono femministe.

Se le critiche degli MRA erano appunto nel conto e da non prendere assolutamente in considerazione, vista la loro storia di produzione di dati e studi fasulli finalizzati a negare la violenza maschilista, oltre a voler sostenere la tesi che vi sia una violenza delle donne contro gli uomini che è pari, se non superiore all’altra; quelle da parte di alcune donne mi sono sembrate veramente fuori dal mondo.

Le contestazioni vertevano soprattutto sul non è il 100%, e che ci sono anche uomini stuprati da donne.
A nulla valeva che sottolineassi il fatto che si parla di ciò che accade e non di quello che potrebbe forse accadere, e che ovviamente in un Tweet non si va a presentare un’elaborazione critica, ma si cerca di condensare un significato in una battuta, per cui, ammesso e non concesso, che vi fossero i casi di stupro da parte di donne, questi sarebbero l’eccezione che conferma la regola.

Vi sono stati poi dei veri e propri travisamenti, e questi credo anche in buona fede, ma chiaro esempio del 47% di analfabeti funzionali che esiste in Italia. Da una frase che dice che il 100% degli stupratori sono maschi, capire che il 100% dei maschi sono stupratori dà il segno di forti problemi di comprensione di un testo per la persona che commette questo errore.

Sono ovviamente consapevole che vi siano atti di violenza, fino anche all’omicidio, come anche che vi siano molestie sessuali da parte di donne nei confronti di uomini.

Mi sono chiesto però il motivo che portava queste persone a negare l’evidenza, ed una prima risposta l’ho trovata nel non volere essere assimilate alle “femministe che odiano gli uomini”. Si tratta però di un motivo che ha senso soprattutto nei rapporti con le proprie reti locali di amici, parenti e colleghi, nel non dover sopportare nella vita di tutti i giorni i dileggio che agisce contro le donne che pretendono dignità (tendenzialmente agito per “rimetterle al loro posto”).
Questa motivazione però non regge per i commenti sulle pagine dei social, che avvengono per lo più in mezzo a persone semisconosciute, e con cui non si condivide nulla.
Ragionandone con altre persone è emersa una ragione diversa, quella per la quale una posizione netta mette in dubbio i comportamenti che non lo sono altrettanto, per cui dette persone si sentono attaccate in quella che riconoscono come una propria mancanza di coerenza. Si sentono quindi di dover difendere la propria pusillanimità attaccando chi dice ciò che loro non hanno il coraggio di affermare.

Riprendendo i concetti dell’Appello citato credo che siano doverose prese di posizione chiare, con la consapevolezza che le ambiguità spesso nascondono “un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all’esistenza di questo tipo di violenza”, e ribadisco che proprio per questo non posso esimermi dal portare testimonianza, egoisticamente per non sentirmi (e non essere) in colpa di questo sistema.